Attraverso 23 tappe che si svolgeranno su tutto il territorio nazionale fra aprile e ottobre, con la campagna “La mia salute è un bene di tutti. #sonomalatoanchio” desideriamo perseguire due obiettivi: da una parte occuparci dei bisogni di salute più urgenti e dei diritti alla salute maggiormente negati in ciascun territorio; dall’altra ricordare una ricorrenza, la nascita del Tribunale per i diritti del malato, 35 anni fa.
L’età del Tribunale per i diritti del malato coincide esattamente con quella del Servizio sanitario nazionale, a indicare che, fin dall’inizio, il ruolo che il Tribunale si è posto è stato quello di “concorrere” al governo della sanità del nostro Paese, anche attraverso la difesa del SSN, il principale strumento con cui ancora oggi è garantito il diritto alla salute dei cittadini; e difendendolo come si difendono i beni comuni da un uso improprio o egoistico, che rischia di indebolirli e depauperarli irrimediabilmente.
Torno un po’ indietro nel tempo, a quei primi anni Ottanta in cui l’esperienza del Tribunale per i diritti del malato nasce e si consolida. L’esperienza del Tribunale è fin dall’inizio un’esperienza che nasce tra i cittadini, “alle radici dell’erba” come si diceva allora, configurando fin dal principio un movimento di massa. Nel 1980 vi sono già decine di gruppi del Tribunale per i diritti del malato e, come prima attività in cui essi si spendono, vengono realizzate 1.100 interviste fra le persone ricoverate negli ospedali del Lazio, che si svolgono in aperta ostilità con il mondo politico e istituzionale. La prima Carta dei diritti del malato viene proclamata nel giugno del 1980; ne seguiranno almeno altre 89, pubblicate al livello locale.
Ci sono tante cose che si potrebbero raccontare sul Tribunale già agli inizi della sua storia.
Ma ne ricorderemo qui tre, significativi al punto da assurgere a simboli di questa storia: una lettera, un libro e una legge.
La lettera è quella che nel 1979 il nascente Tribunale per i diritti del malato riceve da Maria Grazia Carboni, la madre di Valentina, una bambina morta nel 1978 presso la Seconda Clinica pediatrica del Policlinico di Roma. Maria Grazia racconta la tragedia che la sua bambina ha vissuto in ospedale, un luogo che “per i bambini è dolore, paura fisica, una dimensione assurda e ingiustificata che ti fa sentire diverso, punito per la tua malattia”, riferendo particolari come il fatto che “il primo giorno di ricovero, al termine di una giornata stressante tra prelievi, analisi, visite, lastre, di notte, dopo aver sperimentato per la prima volta con grande stupore questa incredibile prassi, subimmo una ulteriore, crudele follia: dopo che la bambina si era calmata e stava per prendere sonno venne la stessa infermiera che in malo modo mi disse di spogliarla nuda per poterla pesare e misurare l’altezza. Nonostante le mie proteste, i miei richiami a un minimo di ragionevolezza, pretese di adempiere a quella disposizione a cui si sarebbe potuto ottemperare tranquillamente la mattina dopo suscitando altro pianto e paura perfettamente inutili”. Dopo averli raccontati, Maria Grazia conclude con la frase “se riferisco questi particolari non è certo per morbosità o per sadismo ma perché voglio con tutte le mie forze che la situazione cambi e che altri non debbano soffrire quello che abbiamo sofferto noi”. A partire dalla sua lettera, diventa centrale nel percorso e nelle attività del Tribunale per i diritti del malato il tema del “perché non accada ad altri”, che è il modo peculiare con cui Cittadinanzattiva affronta la tutela dei diritti anche dei singoli individui. Si occupa anche di casi singoli, perché quello che è accaduto a uno non debba più ripetersi per nessuno.
Il libro che sta alla base della storia del Tribunale è scritto da Giancarlo Quaranta, allora leader del Movimento, e si intitola “L’uomo negato”: è un saggio, la cui introduzione fu scritta da Giovanni Berlinguer, sulla condizione del malato alla luce della teoria della “malattia-istituzione”, cioè dell’idea che, in ospedale, oltre alla sofferenza provocata dalla malattia, esista una sofferenza, del tutto inutile ed evitabile, legata ai meccanismi istituzionali che spesso si creano, ai pregiudizi culturali, alle disfunzioni organizzative, ai comportamenti professionali. Vi sono concetti nuovi in questo saggio, a volte ancora drammaticamente moderni: quello di una malattia vista come un pericolo sociale; quello della spersonalizzazione dei procedimenti terapeutici,in conseguenza della quale il malato viene identificato con la sua cura; quello dei malati che diventano una casta, considerati una categoria a sé; quellodel malato che diventa la malattia. Vanno in questa direzione le parole che qualche settimana fa ha pronunciato Emma Bonino, dichiarando di non voler essere il suo tumore. “L’uomo negato” chiarisce che un cittadino che si ammala non diventa per questo “un malato”, ma è semplicemente “malato anche lui”.
E, infine, al principio della storia del Tribunale per i diritti del malato vi è una proposta di legge, la legge quadro sui diritti del malato. Ancora oggi essa può considerarsi una proposta mai superata in termini di innovatività, in quanto mirava a riconoscere le Carte dei diritti proclamate dai cittadini come fonti di diritto poiché attuazione di diritti costituzionali. Presentata e approvata dalla Commissione Affari costituzionali, per traversie politiche del momento, non fu mai portata in Aula. Ma il suo contenuto, il fatto di considerare la Carta dei diritti del malato come strumento di diritto se non sancito dalle leggi reso comunque operante dalla coscienza collettiva, rimane un punto di riferimento per la nostra attività.Il suo principale sostenitore fu all’epoca un deputato particolarmente attento al tema dei diritti. Sarà per questo che, a distanza di qualche decennio, nel suo discorso di insediamento alla Presidenza della Repubblica, ha pronunciato queste parole: “La garanzia più forte della nostra Costituzione consistenella sua applicazione. Nel viverla giorno per giorno. Garantire la Costituzione significa garantire il diritto allo studio dei nostri ragazzi in una scuola moderna in ambienti sicuri, garantire il loro diritto al futuro; garantire i diritti dei malati; rimuovere ogni barriera che limiti i diritti delle persone con disabilità”. E poi ha aggiunto:“Per la nostra gente, il volto della Repubblica è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo. Mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani: il volto spensierato dei bambini, quello curioso dei ragazzi. I volti preoccupati degli anziani soli e in difficoltà, il volto di chi soffre, dei malati, e delle loro famiglie, che portano sulle spalle carichi pesanti. Il volto dei giovani che cercano lavoro e quello di chi il lavoro lo ha perduto. Il volto di chi ha dovuto chiudere l’impresa a causa della congiuntura economica e quello di chi continua a investire nonostante la crisi.Il volto di chi dona con generosità il proprio tempo agli altri. Il volto di chi non si arrende alla sopraffazione, di chi lotta contro le ingiustizie e quello di chi cerca una via di riscatto. Storie di donne e di uomini, di piccoli e di anziani, con differenti convinzioni politiche, culturali e religiose. Questi volti e queste storie raccontano di un popolo che vogliamo sempre più libero, sicuro e solidale. Un popolo che si senta davvero comunità e che cammini con una nuova speranza verso un futuro di serenità e di pace”. Quel deputato è Sergio Mattarella.