La Cassazione ha precisato che il consenso informato “deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”, mentre non è possibile acquisire il consenso attraverso la sottoscrizione di un modulo del tutto generico. LA SENTENZA.
04 APR – La Cassazione torna sul consenso informato e dopo aver stabilito di recente che le informazioni al paziente devono essere chiare e comprensibili, con la sentenza 7248/2018 ribadisce che il paziente ha il diritto di conoscere le conseguenze di un intervento medico con necessaria e ragionevole precisione per poterle affrontare con la maggiore e migliore consapevolezza.
Il caso specifico è quello di due genitori che hanno chiesto al ginecologo e alla casa di cura danni patrimoniali e non patrimoniali per la nascita di un figlio venuto alla luce con grave sofferenza fetale e conseguente anossia da parto che ha prodotto una invalidità del 100 per cento.
La Cassazione per la sua sentenza si è basata sull’orientamento ormai consolidato che ha riconosciuto l’autonoma rilevanza, “ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria, della mancata prestazione del consenso da parte del paziente, e che ha espressamente ritenuto, così come del resto già argomentato dal Tribunale, che ‘la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relative onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informative, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla salute’.
La Cassazione ha inoltre precisato che il consenso informato “deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”, mentre non è possibile acquisire il consenso attraverso la sottoscrizione di un modulo del tutto generico. E ha stabilito che l’obbligo di fornire un’idonea informazione al paziente non è realizzato dal medico quando il consenso sia acquisito con modalità improprie, “sicché non può ritenersi validamente prestato il consenso espresso oralmente dal paziente”.
Secondo la Cassazione quindi, che nella sentenza argomenta per punti diritti e conseguenze di una mancato corretto consenso informato, a una corretta e compiuta informazione consegue:
“a. il diritto, per il paziente, di scegliere tra le diverse opzioni di trattamento medico;
b. la facoltà di acquisire, se del caso, ulteriori pareri di altri sanitari;
c. la facoltà di scelta di rivolgersi ad altro sanitario e ad altra struttura, che offrano maggiori e migliori garanzie (in termini percentuali) del risultato sperato, eventualmente anche in relazione alle conseguenze post-operatorie;
d. il diritto di rifiutare l’intervento o la terapia – e/o di decidere consapevolmente di interromperla;
e. la facoltà di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze dell’intervento, ove queste risultino, sul piano post operatorio e riabilitativo, particolarmente gravose e foriere di sofferenze prevedibili (per il medico) quanta inaspettate (per il paziente) a causa dell’omessa informazione”.
E la sentenza illustra le varie situazioni che si possono creare nei diversi casi in assenza di un corretto consenso informato:
“1. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe in ogni caso scelto di sottoporsi nelle medesime condizioni, hic et nunc: in tal caso, il risarcimento sarà limitato al solo danno alla salute subito dal paziente, nella sua duplice componente, morale e relazionale (sul punto, Cass. 901/2018);
2. omessa/insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento sarà esteso anche al danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;
3. omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute a causa della condotta non colposa del medico, a cui il paziente avrebbe scelto di non sottoporsi: in tal caso, il risarcimento, sarà liquidato con riferimento alla violazione del diritto alla autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute -da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento non sarebbe stato eseguito andrà valutata in relazione alla situazione differenziale tra quella conseguente all’intervento e quella (comunque patologica) antecedente ad esso;
4. omessa informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente (e che sia stato correttamente eseguito): in tal caso, la lesione del diritto all’autodeterminazione costituirà oggetto di danno risarcibile tutte le volte che, e solo se, il paziente abbia subito le inaspettate conseguenze dell’intervento senza la necessaria e consapevole predisposizione ad affrontarle e ad accettarle, trovandosi invece del tutto impreparato di fronte ad esse”.
“Ne consegue in definitiva – si legge nella sentenza – che il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, potrà conseguire alla allegazione del pregiudizio, la cui prova potrà essere fornita anche mediante presunzioni, fondate, in un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione”.
Ne consegue ancora secondo la Corte “che l’indagine potrà estendersi ad accertare se il paziente avrebbe rifiutato quel determinato intervento ove fosse stato adeguatamente informato; ovvero se, tra il permanere della situazione patologica in atti e le conseguenze dell’intervento medico, avrebbe scelto la prima situazione; o ancora, se , debitamente informato, avrebbe vissuto il periodo successive all’intervento con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali quanto inaspettate conseguenze e sofferenze”.
In conclusione, secondo la cassazione la sentenza che non aveva dato ragione ai genitori deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello “che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei seguenti principi di diritto:
1. In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, l’acquisizione di un completo ed esauriente consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, dal cui inadempimento può derivare … un danno costituito dalle sofferenze conseguenti alla cancellazione o contrazione della libertà di disporre, psichicamente e fisicamente, di se stesso e del proprio corpo, patite dal primo in ragione della sottoposizione … a terapie farmacologiche ed interventi medico – chirurgici collegati a rischi dei quali non sia stata data completa informazione. Tale danno, che può formare oggetto, come nella specie, di prova offerta dal paziente anche attraverso presunzioni e massime di comune esperienza, lascia impregiudicata tanto la possibilità di contestazione della controparte quanto quella del paziente di allegare e provare fatti a se ancor più favorevoli di cui intenda giovarsi a fini risarcitori.
2. L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del Dl 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, tale che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale vizio presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno o più specifici fatti storici, oppure che si sia tradotto nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, priva di un riscontro complete con le emergenze istruttorie sottoposte al riesame del giudice d’appello.”
04 aprile 2018