Rapporto Pit Salute 2016 Accesso di lusso e il SSN pare “in ritirata”

Comunicato stampa                                                                    Roma, 15 dicembre 2016
                                 
Aumentano tempi di attesa per operazioni e visite, strutture in cattive condizioni, medici e pediatri meno “disponibili”. La fotografia del XIX Rapporto PIT Salute.
“Sospendere intramoenia quando non si rispettano i tempi massimi nel pubblico, e valutare DG su rispetto tempi”

Difficoltà di accesso alle prestazioni (soprattutto complesse come visite, interventi, PMA), cattive condizioni delle strutture, difficoltà nel rapporto con medici di famiglia e pediatri, deficit e costi dell’assistenza residenziale e domiciliare, criticità per costi, limitazioni e indisponibilità dei farmaci, documentazione sanitaria incompleta o inaccessibile, lentezza nella procedura di riconoscimento della invalidità e dell’handicap, maggiori criticità nella rete dell’emergenza-urgenza. Sono queste le principali questioni che emergono dal XIX Rapporto Pit Salute del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, presentato oggi a Roma, dal titolo “Servizio sanitario nazionale: accesso di lusso” e che si basa su 21.493 segnalazioni giunte nel corso del 2015 al PiT Salute nazionale e ai PiT Salute locali e sezioni territoriali del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva.

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Fonte: XIX Rapporto PiT Salute 2016 – Cittadinanzattiva

“Se lo scorso anno abbiamo denunciato che si stavano abituando i cittadini a considerare il privato e l’intramoenia come prima scelta, ora ne abbiamo la prova: le persone sono state abituate a farlo per le prestazioni a più basso costo (ecografie, esami del sangue, etc.). Non perché non vogliano usufruire del SSN, ma perché vivono ogni giorno un assurdo: per tempi e peso dei ticket, a conti fatti, si fa prima ad andare in intramoenia o nel privato. E il SSN, in particolare sulle prestazioni meno complesse, e forse anche più “redditizie”, ha di fatto scelto di non essere la prima scelta per i cittadini. Secondo assurdo: si tratta di prestazioni previste nei Livelli Essenziali di Assistenza, quindi un diritto. E’ questa la revisione dei LEA “in pratica” che i cittadini già sperimentano ogni giorno.
Il SSN rimane invece quasi insostituibile per la maggior parte delle persone, per le prestazioni a più alto costo, o particolare impiego di alte tecnologie e professionalità sulle quali però esistono crescenti difficoltà di accesso, oltre che discriminazioni tra cittadini. Ma alle prese con obsolescenza, fatiscenza, igiene, ritardi nella manutenzione e riparazione dei macchinari: tutti fattori che incidono su qualità e sicurezza delle cure e dei luoghi di cura. Insomma l’effetto sui cittadini delle scelte politico-amministrative è di un Servizio Sanitario Nazionale che sembra “in ritirata”. Queste le dichiarazioni di Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva.

Tema trasversale quello dei costi privati per curarsi, evidentemente troppo pesanti per le tasche dei cittadini: più di uno su dieci (10,8%) segnala l’insostenibilità economica delle cure.

Costi relativi a 2015 2014
Ticket per esami diagnostici e visite specialistiche 30,3% 21,3%
Farmaci 20,0% 26,6%
Prestazioni intramoenia 18,2% 18,9%
Degenza in residenze sanitarie assistite 9,1% 7,7%
Mobilità sanitaria 8,7% 10,4%
Mancata esenzione per alcune patologie rare 4,4% 5,3%
Ticket Pronto soccorso 3,5% 3,7%
Duplicazione cartelle sanitarie 3,0% 0,5%
Carenza nell’assistenza protesica e integrativa 2,2% 5,1%
Visite domiciliari 0,6% 0,5%
Totale 100% 100%

Fonte: XIX Rapporto PiT Salute 2016 – Cittadinanzattiva

Accesso di lusso: 2 anni di attesa per la rimozione di protesi, 15 mesi per una mammografia
Entrando nel dettaglio, quasi una segnalazione su tre (30,5%, rispetto al 25% del 2014) nel 2015 ha, infatti, riguardato le difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche, per liste di attesa (54,5%), ticket (30,5%), intramoenia (8,4%).
Se diminuiscono le segnalazioni di liste di attesa per esami diagnostici semplici, dal 36,7% del 2014 al 25,5% del 2015, crescono invece decisamente per gli interventi chirurgici (35,3% nel 2015 vs il 28,8% del 2014) e per le visite specialistiche (34,3% vs 26,3%).
In testa, per segnalazioni su lunghi tempi di attesa negli interventi chirurgici, l’area di ortopedia, con il 30,7% (era il 27,5% nel 2014); per le visite specialistiche l’area oculistica (25% vs 18,5% nel 2014); per gli esami diagnostici, le prestazioni per le quali si attende di più sono le ecografie (18,8%, 24,1% nell’anno precedente).

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Nell’ambito delle segnalazioni sui ticket, a pesare sono soprattutto i costi per diagnostica e specialistica (41%); segue la mancata applicazione dell’esenzione (24,5%, nel 2014 era il 10,9%); i costi per le prestazioni a totale carico dei cittadini (20,8%, 17,8% nel 2014).

Stabili le segnalazioni sugli errori sanitari. Ma le strutture hanno gravi carenze
Stabili le segnalazioni sulla presunta malpractice e la sicurezza delle strutture che raccolgono il 14,6% (era il 15,4% nel 2014). In questo ambito però si segnala un peggioramento delle condizioni delle strutture (25,7% vs 17% dell’anno precedente), legato principalmente al malfunzionamento dei macchinari (41,9% vs al 38,2%), alle precarie condizioni igieniche (30,1% vs 35,3%) e agli ambienti fatiscenti (28,1% vs 26,5%).
I presunti errori pesano di più nell’area delle terapie (58,3%), e in seconda battuta nell’area diagnostica (41,7%). In testa, fra gli errori terapeutici, quelli di ortopedia (14,3%, ma in diminuzione rispetto al 2014 – 28,4%) e in ginecologia e ostetricia (14%, ma nel 2014 erano l’8,3%); a seguire la chirurgia generale (12,9% vs 14,1%). Anche in ambito diagnostico, gli errori si verificano più di frequente in ortopedia (15,6%, 17,4% nel 2014) e in ginecologia ed ostetricia (15,2%, nel 2014 l’area raccoglieva il 9,8% delle segnalazioni).
Da una disamina delle segnalazioni di presunti errori giunte al nostro servizio di consulenza, emerge che, su 768 consulenze medico legali, in quasi due casi su tre (63%) si sconsiglia l’azione legale. Se nel 57% dei casi manca il nesso di causalità, dunque non è ravvisabile una diretta responsabilità sanitaria, in circa un caso su tre (32%) la documentazione clinica consegnata dalle strutture è incompleta o inadeguata e ancora per l’11% sono decorsi i termini per l’azione legale.
Sulle denunce fatte dai cittadini pesa, oltre al possibile errore interpretativo del paziente sull’operato dei professionisti sanitari (39%), anche il vissuto di trattamenti poco umani da parte del personale (34%) e la mancanza di adeguate informazioni fornite dallo stesso (27%).

Medicina di territorio: in aumento problemi con medici e pediatri di famiglia
Sebbene l’area generale dell’assistenza territoriale raccolga meno segnalazioni rispetto al passato (11,5% nel 2015, 15,3% nel 2014), al suo interno emergono dati contrastanti che danno idea di diverse problematiche.
In crescita i problemi con medici di famiglia e pediatri, che raccolgono più di un terzo delle segnalazioni dell’area: le principali questioni riguardano il rifiuto di prescrizioni da parte del medico (28,4%, +4% rispetto al 2014), gli orari inadeguati di ricevimento (25,4%, +12%), la sottostima del problema di salute (17,9%, +6%).
In tema di assistenza residenziale, soprattutto nelle RSA, un terzo dei cittadini lamenta la scarsa assistenza medico-infermieristica (-4% rispetto al 2014), un altro terzo i costi eccessivi delle rette per la degenza (+11%), le lunghe liste di attesa (-5%), la distanza dal domicilio della famiglia (-2%).
Sul tema della salute mentale, i cittadini segnalano il ricovero in strutture inadeguate (31,3%, +3%), le difficoltà familiari nella gestione della problematica (22,4%), la scarsa qualità dell’assistenza fornita dal Dipartimento o dal centro di salute mentale (17,9%, +6%).
Sulla riabilitazione, le segnalazioni riguardano per lo più quella effettuata all’interno delle strutture sanitarie (43%), per la quale un terzo ravvisa scarsa qualità del servizio, quasi un quarto la mancata attivazione, un quinto la carenza di posti letto; quasi il 30% riguarda la riabilitazione ambulatoriale, per la quale i cittadini lamentano disagi legati all’attivazione del servizio (55,6%) e la scarsità di ore (44,4%); infine il 27% riguarda la riabilitazione a domicilio, per la quale il 31% segnala la difficoltà nell’attivarla, il 21% la riduzione del servizio e un ulteriore 21% (in crescita di ben l’11% rispetto al 2014) la totale sospensione dello stesso.
In tema di assistenza domiciliare, quasi la metà delle segnalazioni (44,8%) riguarda le difficoltà di avere informazioni e la complessità nell’iter di attivazione; il 12,6% l’inesistenza del servizio o le lunghe liste di attesa.
Per l’assistenza protesica e integrativa, il cittadino denuncia i lunghi tempi di attesa (47,6%), l’insufficienza delle forniture (26,2%), la scarsa qualità dei prodotti (26,2%). In particolare, le protesi oggetto di lamentala sono quelle per gli arti inferiori (24%), carrozzine, montascale, deambulatori (20%), scarpe ortopediche e apparecchi acustici (16%), busti e corsetti (4%).

Informazioni scarse, documentazione carente
Più di un cittadino su dieci (11,4%) segnala carenze di informazioni in ambito sanitario e di accesso alla documentazione sanitaria. Le informazioni scarseggiano soprattutto sulle prestazioni assistenziali (30%), sull’assistenza sanitaria di base (25%), in materia di consenso informato (22%). L’accesso alla documentazione sanitaria è considerata problematica soprattutto per i tempi lunghi per il rilascio (45,5%) o per il rifiuto da parte della struttura sanitaria nel rilasciarla al paziente (23,4%). In netta crescita le segnalazioni di documentazione incompleta (14,3%, erano solo il 3,2% nel 2014).

Invalidità ed handicap, in media 30 mesi per ottenerne il riconoscimento
Una segnalazione su dieci riguarda il tema della invalidità ed handicap. La lentezza dell’iter burocratico per il riconoscimento rappresenta la problematica principale, con il 58,2% delle segnalazioni, lentezza che si riscontra in gran parte (65%) nella fase di presentazione della domanda.
Dalla convocazione a prima visita, che richiede in media 8 mesi, alla ricezione del verbale che comporta un’attesa di ulteriori 10, fino alla erogazione dei benefici economici (in media 12 mesi dopo), il cittadino deve aspettare in media 30 mesi, ulteriori due in più rispetto ai tempi segnalati nel 2014.
Tempi non accettabili per i cittadini che si sono rivolti al TDM, considerando che sono prevalentemente affetti in un terzo dei casi da malattie oncologiche, da patologie croniche e neurologiche degenerative (27,5%), legate all’invecchiamento (18%) e rare (10,7%).

Lunghe attese al Pronto Soccorso e triage non trasparente
L’ambito dell’assistenza ospedaliera raccoglie il 10% delle segnalazioni. I maggiori disagi si registrano nell’emergenza urgenza con un dato che giunge nel 2015 al 62,8% rispetto al 50,7% del 2014. Si tratta soprattutto di lunghe attese al Pronto Soccorso (45,3%) e di assegnazione del triage non trasparente (40,5%, +15% rispetto al 2014): ai cittadini che ricorrono al PS insomma sembra spesso di aspettare troppo, anche perché ben poche strutture spiegano come viene assegnato il codice e ancora meno quelle dotate di monitor per indicare i tempi di attesa per codice di priorità.
Secondo ambito problematico è quello dei ricoveri (23,8%):  il 45% segnala di aver “subito” il rifiuto o perché il ricovero è ritenuto inappropriato dal personale medico o per tagli ai servizi; un quinto segnala di essere stato ricoverato in reparto inappropriato,
Le dimissioni ospedaliere raccolgono il 13,4% delle segnalazioni: sono ritenute improprie per il 65,4% dei cittadini, più di uno su quattro riscontra difficoltà nell’esser preso in carico dal territorio.

Farmaci: boom di richieste di informazione sulle nuove terapie per l’Epatite C
Il 5,8% delle segnalazioni riguarda il tema dei farmaci (era il 4,6% nel 2014). Nel corso del 2015 è emerso il problema dell’accesso ai nuovi farmaci per l’epatite C che riguarda il 31% delle segnalazioni, soprattutto per la mancanza di informazioni sulle nuove terapie (45%), sui criteri di accesso dell’AIFA (27,5%), sui Centri prescrittori (9,5%). A seguire nell’ambito dei farmaci, la questione dell’indisponibilità di alcuni medicinali (27,3%) per carenza in farmacia (45,7%), ritardi nell’erogazione dei farmaci ospedalieri (33,2%), ritiro dal mercato (15,8%), farmaci non commercializzati in Italia (5,3%).
Un 20% di segnalazioni riguarda invece la spesa per i farmaci considerata elevata dai cittadini che devono: pagarli privatamente (63%), sostenere la differenza di prezzo fra generico e brand (26%), affrontare l’aumento del ticket (10,5%).

“É sotto gli occhi di tutti la necessità di riallineare i problemi che vivono i cittadini quotidianamente, con le scelte e gli interventi delle istituzioni. E per farlo è indispensabile garantire la partecipazione delle organizzazioni dei cittadini nella definizione, implementazione e valutazione delle politiche socio-sanitarie. A partire dalla “questione LEA”. Chiediamo che rappresentanti delle organizzazioni di cittadini siano componenti del Comitato permanente per la verifica dei LEA e della Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA”, ha quindi concluso Tonino Aceti. 

Sono sei le priorità su cui lavorare secondo il Tribunale per i diritti del malato.
Anzitutto contrastare le lunghe liste di attesa, con un nuovo Piano nazionale di Governo e l’inserimento del rispetto dei tempi massimi tra i criteri di valutazione dei Direttori Generali; la definizione di tempi massimi per tutte le prestazioni; la gestione informatizzata e centralizzata delle liste di attesa di tutte le strutture (pubbliche e convenzionate) per esami, visite e interventi chirurgici e ricoveri in piena trasparenza, così che i cittadini possano avere pieno accesso a tutte le agende e si evitino distorsioni di uso “privato” del sistema pubblico. In secondo luogo vanno garantiti trasparenza e controllo sull’intramoenia per evitare abusi, anche bloccando immediatamente le prestazioni in intramoenia quando non si è in grado di garantire il rispetto dei tempi massimi nel canale pubblico o quando i volumi delle prestazioni in intramoenia o i tempi sono sbilanciati rispetto al canale pubblico. E ancora controlli e trasparenza su orari, riscossione, costi, luoghi, oltre che scongiurare che sia una scorciatoia o un canale preferenziale per accedere al Servizio pubblico per prestazioni o ricoveri. I ricavi diretti dell’intramoenia, inoltre, andrebbero destinati all’abbattimento dei tempi di attesa. La terza proposta è l’abolizione del superticket da 10 euro e revisione della intera normativa per garantire effettiva equità. Ancora, va garantita la contemporaneità della riorganizzazione della rete ospedaliera con quella dell’assistenza territoriale, affiancando agli standard nazionali ospedalieri quelli per “l’assistenza territoriale”, e assicurando una risposta adeguata, tempestiva, continuativa e di qualità nei casi di emergenza-urgenza. Da ultimo, non per importanza, va avviata una azione puntuale di monitoraggio effettivo della sicurezza strutturale dei presidi sanitari e renderne trasparenti ed accessibili ai cittadini i risultati; utilizzare le risorse allocate per l’edilizia sanitaria e non ancora spese, utilizzando criteri predefiniti e trasparenti di attribuzione delle priorità di intervento. Investire sul personale e mettere a punto gli standard, contrastando derive che perdono di vista le specificità e i bisogni delle persone, a solo vantaggio del contenimento dei costi.

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