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Vaccini. Consigli ai naviganti per fare una nuova buona legge
Vaccini. Consigli ai naviganti per fare una nuova buona legge
Per fare una buona legge sui vaccini, si deve pensare tanto alle evidenze scientifiche che ai comportamenti delle persone. Cioè le evidenze scientifiche debbono dialogare con le complessità culturali e sociali di questo mondo. Da sole non bastano più. Le evidenze che ignorano l’uomo possono rivelarsi contro l’uomo. Che ne dite se, con l’occasione del nuovo disegno di legge all’esame del Parlamento, provassimo tutti quanti a ri-ragionare come delle persone serie?
31 GEN – Ieri, per una audizione, sono stato convocato dalla commissione sanità del Senato che sta discutendo il disegno di legge “disposizioni in materia di prevenzione vaccinale”. I suoi proponenti (tutti senatori M5S) ritengono che il decreto legge n°73 (convertito nella Legge 119/2017), più noto come “decreto Lorenzin”, debba essere ripensato e riscritto.
Personalmente sono d’accordo con loro. Ben venga la dialettica parlamentare. A noi interessa pragmaticamente avere delle buone leggi anche se, come cercherò di dimostrare, fare delle buone leggi cioè leggi migliori di quelle che non condividiamo, non è facile come si pensa. Ciò che pensiamo come “migliore” va organizzato in un pensiero e spesso con nuove visioni culturali.
Per il M5S questa iniziativa legislativa è una specie di atto politico dovuto almeno nei confronti di tutti coloro che hanno votato questo movimento proprio perché non condividevano la legge sui vaccini del precedente governo, senza per questo essere per forza dei no vax.
Oltre le strumentalizzazioni della politica
Come sicuramente ricorderete, il decreto Lorenzin, fu oggetto di una pesante quanto inopportuna strumentalizzazione politica, sia da parte del M5S sia da parte del PD (le differenti posizioni tra le forze politiche sui contenuti di legge sono un’altra cosa), che a mia memoria non ha precedenti, a parte, ma in forme diverse, il caso Di Bella del 1998, apertamente sostenuto da Alleanza nazionale e che finì con il sancire, in barba alla scienza, che la “somatostatina” fosse di destra e la “chemio” di sinistra. Nel caso dei vaccini chi non condivideva la legge era addirittura contro la “scienza” o contro la “vita”. Sciocchezze, autentiche sciocchezze.
La strumentalizzazione politica sui vaccini, che ha dato luogo ad eccessi di ogni genere, compreso le radiazioni di alcuni medici, ancora adesso pesa come un macigno su un dibattito che al contrario dovrebbe essere liberato da ogni cosa che non sia attinente agli interessi primari dei cittadini e a quelli dell’applicazione corretta della scienza medica.
Proviamo a discutere di nuovo
Con questo disegno di legge, questa volta proposto dal M5S, forse è arrivato, il momento di svelenire il clima della discussione in modo da poter uscire dalla logica degli schieramenti, delle facili stigmatizzazioni, persino dalla caccia all’eretico, così da poter discutere con la massima libertà per fare una buona legge. I vaccini non sono “feticci”, cioè oggetti con poteri malefici per qualcuno e benefici per qualcun altro, ma sono solo strumenti che dobbiamo imparare ad usare al servizio dell’uomo di oggi, in questa società, in questa complessità culturale. Si tratta di fare nostra la lezione di S. Tommaso “il modo di operare di ciascuna cosa segue il suo modo di essere”. Il vero problema dei vaccini è, almeno per me, il loro ”modo di essere” oggi in questo mondo. È come usarli, non se usarli o no, cioè è politico e epistemologico non ontologico.
Accolgo come una buona notizia la presentazione delle scuse formali che il prof. Burioni ha presentato al mio amico Guglielmo Pepe che ha deciso di ritirare la querela contro di lui, accusato a suo tempo, pensate un po’, di aver causato con i suoi articoli, ritenuti privi di fondamento scientifico, addirittura la morte delle persone. Mi felicito per il buon senso con entrambi. Spero davvero che ciò aiuti a dialogare di più e a capirci meglio.
Che ne dite se con l’occasione di questo nuovo disegno di legge provassimo tutti quanti a ri-ragionare come delle persone serie?
A me non dispiacerebbe e vorrei dare il buon esempio.
Postulato
Partirei da un postulato al quale tengo molto: qualcosa è buono, è vero, è utile se funziona senza troppi inconvenienti.
In medicina le verità non sono mai semplicemente scientifiche cioè razionali, metodologicamente corrette, conformi alle regole dell’ortodossia, ma soprattutto sono quelle che funzionano cioè che raggiungono i loro scopi pratici senza incontrare serie controindicazioni.
Una buona legge sui vaccini:
– è buona non se è scritta bene quindi secondo i dettami della scienza corrente ma se una volta scritta bene funziona in questa società senza creare troppi problemi,
– funziona senza troppi problemi se è attuata da coloro ai quali essa si rivolge cioè se le persone si comportano in modo tale da attuarla.
La differenza, rispetto alla legge sui vaccini, tra applicazione e attuazione è presto detta:
– nel primo caso servono risorse, strumenti, servizi, conoscenze,
– nel secondo caso servono comportamenti adeguati cioè scelte coerenti, adeguate, pertinenti, informazioni corrette, sensibilizzazioni sociali.
Per me, per fare una buona legge sui vaccini, si deve pensare tanto alle evidenze scientifiche che ai comportamenti delle persone. Cioè le evidenze scientifiche debbono dialogare con le complessità culturali e sociali di questo mondo. Da sole non bastano più. Le evidenze che ignorano l’uomo possono rivelarsi contro l’uomo.
Disposizioni e impostazione
Con mia grande sorpresa la relazione che accompagna il disegno di legge non contiene una sola critica alla legge 119 quella che vuole cambiare. O almeno non contiene le critiche che mi sarei aspettato di trovare. Per cui a leggere la relazione non si capiscono i motivi per i quali la legge 119 dovrebbe essere riscritta. La relazione si limita ad elencare, articolo per articolo, le disposizioni tecniche della precedente legge per arrivare a dire che lo scopo della nuova legge è quello “di rimodulare le disposizioni in materia di vaccini”.
Per me questo è un problema serio:
– non si tratta solo di rimodulare le disposizioni tecniche-organizzative, ma di cambiare l’impostazione politica e culturale della legge 119,
– è l’impostazione della legge 119 che è sbagliata e la relazione che accompagna il nuovo disegno di legge dovrebbe sottolinearlo.
Il rischio che corriamo è che se l’impostazione della nuova legge non cambia, il cambio delle “disposizioni” non è significativo, anzi rischia paradossalmente di complicare la situazione. A invarianza di impostazione la nuova proposta di legge è poca cosa.
Gli errori di impostazione politica della legge 119
La legge 119 si rivolge in realtà ad una società che non c’è più, ad un genere di cittadino che non c’è più (paziente/esigente). Essa ignora completamente le complessità dei comportamenti individuali e sociali, ignora i cambiamenti etici e culturali che sono avvenuti almeno nel corso del ‘900.
La legge inoltre offre una immagine della medicina sbagliata, la medicina non è una scienza esatta, infallibile, le evidenze non sono verità dogmatiche ma al contrario essa è un sistema di conoscenze stocastiche, falsificabili ordinariamente dalla singolarità o dalla individualità della persona malata, approssimative e interpretabili.
L’esitazione e la riluttanza sociale nei confronti dei vaccini è solo un aspetto di una esitazione e di una riluttanza sociale molto più ampia nei confronti della medicina e in particolare dei farmaci. Questa società apprende la fallibilità della medicina, individuo dopo individuo, empiricamente, fino a costituire masse rilevanti di persone esitanti. La gente sa che la medicina non è una scienza esatta ma sulla propria pelle. Se si dice, come si è detto a suo tempo in televisione, che i vaccini non hanno effetti collaterali si fa una gran danno alla credibilità della medicina. Perché si dice, con la pretesa di essere scientifici, il falso.
La legge 119 infine ha deciso sbagliando, scientemente, di ignorare i gravi problemi di sfiducia sociali, il conflitto sociale, il contenzioso legale, le violenze contro gli operatori, cioè i gravi problemi che oggi accompagnano la relazione tra medicina e società.
La negazione della persona
Nella legge 119, nonostante viviamo in una società altamente individualista, nella quale il ruolo dell’individuo permea ogni scelta, il cittadino, la persona non ha nessun ruolo, continua ad essere considerato un “paziente” quando il paziente è morto da un pezzo. In questa società ogni forma di obbligazione deve misurarsi con le libertà delle persone che, nel campo della salute, sono addirittura costituzionalmente tutelate. Nel nostro ordinamento prima della salute viene la libertà e nei casi dove la libertà deve essere sacrificata come nei casi di TSO, le cautele adottate vanno ben oltre la medicina e chiamano in causa istituzioni politiche garanti delle libertà individuali. Nonostante questo la legge 119 ha fatto un uso scriteriato e esagerato dell’obbligazione, come se obbligare le persone a farsi vaccinare fosse l’unico modo per fare profilassi. Nello stesso tempo la legge si è affidata a schemi di comunicazione drammaticamente sbagliati e inefficaci. Quasi improvvisando.
Una bella contraddizione
L’impostazione della legge 119 tradisce:
– una logica fondamentalmente scientista dove la medicina è proposta come una conoscenza con i paraocchi,
– uno smaccato paternalismo dove il cittadino è dato come incapace esattamente nel tempo dove ormai il paternalismo non esiste più da un bel pezzo
Ribadisco con forza che:
– la legge 119 deve essere cambiata perché la sua impostazione è inadeguata alla realtà,
– il disegno di legge in discussione al senato non cambia l’impostazione della legge 119 per cui è del tutto inutile farlo, non cambia molto se si ritoccano le disposizioni.
Finalità
Che la vecchia impostazione scientista e paternalista della medicina sussiste anche nel nuovo testo di legge si capisce subito con l’art. 1 del ddl sulle finalità.
Ecco le finalità dichiarate:
– Assicurare la tutela
– Garantire prestazioni
– Istituire l’anagrafe…
Queste finalità, esattamente come quelle della legge 119, ignorano il soggetto cioè “a chi” bisogna assicurare la tutela “a chi” bisogna garantire le prestazioni “di chi” deve occuparsi l’anagrafe vaccinale.
In queste finalità il soggetto è implicito quando non dovrebbe esserlo.
Il dovere alla salute del cittadino
Personalmente avrei scritto un altro genere di articolo 1 dove le finalità riguardano in prima facies il cittadino e in seconda facies le disposizioni, ma il cittadino, proprio perché oggi è enormemente diverso da quello che era perfino nel passato recente, lo avrei assunto come il principale soggetto di profilassi, cioè come un soggetto attivo e responsabile, con addirittura degli obblighi morali, definendo norme per favorire scelte responsabili.
Lo avrei definito richiamando un concetto a me molto caro come un “autore! di salute, cioè come un cittadino certamente autonomo ma anche indubbiamente responsabile.
In pratica richiamandomi alla deontologia di Trento avrei scritto un articolo 1 sull’obbligo morale del cittadino e quindi sul “dovere alla salute del cittadino”.
Il dovere alla salute del cittadino rientra, a livello individuale, tra i suoi obblighi morali, mentre, a livello collettivo, tra gli obblighi morali di una comunità.
L’obbligazione morale non è coercitiva e si basa sull’autonomia sulla libertà e sul senso di responsabilità, quindi sulla consapevolezza, del cittadino e della comunità e sulla loro presa di coscienza nei confronti del valore della salute tutelato con opportune iniziative promozionali.
Gli obblighi morali non possono essere imposti con norma giuridica.
Il dovere alla salute, quale responsabilità, è da intendersi un impegno generale del cittadino nei confronti della profilassi delle malattie, di tutte le forme di prevenzione primaria, della difesa dell’ambiente, ma anche nei confronti della cura delle malattie, quindi nell’uso consapevole della informazione medico sanitaria
Il consenso informato
Con mia grande sorpresa, il disegno di legge pur essendo nato da una forte opposizione al concetto di obbligatorietà e in favore di un’idea di libera scelta del cittadino, non fa mai riferimento al “consenso informato” per decidere eventualmente sui trattamenti profilattici.
Secondo la deontologia di Trento, in una relazione di cura, nessun criterio decisionale è superiore al consenso. In ragione del principio del consenso la questione della scelta, per un medico equivale al dovere di favorire un giudizio condiviso e una decisione condivisa. Il principio del consenso è fondato sulla fiducia. Il malato ha il dovere di creare, ai fini della buona cura, le necessarie e reciproche condizioni di fiducia. Il suo fine è di rendere il cittadino partecipe cosciente consapevole edotto circa le decisioni vaccinali che lo riguardano. Il medico ha il dovere di garantire il consenso informato e di considerare il consenso informato prima ancora che uno strumento di comunicazione e di informazione, come una relazione per la scelta e la decisione condivisa. Il consenso informato è l’uso congiunto e condiviso tra il medico e il cittadino delle loro conoscenze. Il consenso informato è strumentale alla scelta che in quanto tale per parte del malato, non è delegabile al medico.
Personalmente quindi nel disegno di legge avrei scritto un art. 2 sul consenso informato anche per collegarmi alla legge 219 del 2017 (consenso informato e dat) che ha stabilito che tutti i trattamenti sanitari, quindi comprese le vaccinazioni, debbono essere sottoposte al consenso informato.
“Piano nazionale di prevenzione vaccinale” e “misure di implementazione del piano nazionale di prevenzione vaccinale” (art 2/3)
L’art 2 nel disegno di legge istituisce il piano nazionale di prevenzione vaccinale, il testo è piuttosto laconico articolato in due punti ma non definisce chi lo dovrebbe definire e come definirlo quindi il piano in questione funziona come una sineddoche. Si indica il piano per sottintendere forse la commissione nazionale vaccini.
Il ruolo del piano nel disegno di legge si spiega con una precisa scelta politica che mi lascia a dir il vero molto perplesso che è quella di ridurre l’ambito delle decisioni della politica e di accrescere quello tecnico- scientifico. La politica nel disegno di legge sembra disimpegnarsi nel decidere ad esempio cosa sia obbligatorio e cosa non lo sia, o cosa debba essere sottoposto al consenso informato, o come si devono organizzare le strategie di profilassi, e demanda queste decisioni ad uno strumento tecnico, concepito come se fosse un algoritmo cioè come a un procedimento decisionale.
La logica è quella che, Gian Paolo Del Monte, chiama del “pilota automatico”.
Al contrario personalmente penso che le complessità che si accompagnano ai vaccini impongono un ruolo della politica molto preciso chiamata a leggere i problemi di questa società e a prendersi delle precise responsabilità.
Ma a parte questo nell’art. 3 sono richiamate certe misure di implementazione che per la loro natura non possono essere decise con la logica dell’algoritmo e precisamente:
– (analisi dei comportamenti di rifiuto…esitazione…riluttanza ecc),
– (interventi di comunicazione informazione come se fossero concetti intercambiabili),
– (coinvolgimento dei cittadini).
Queste sono tutte questioni politiche che nessun “pilota automatico” è in grado di governare.
Da ultimo, per restare nell’ambito del piano nazionale di prevenzione vaccinale, segnalo che, mentre giustamente si definisce anche con una certa dovizia descrittiva l’anagrafe vaccinale, è del tutto sottovalutata l’importanza di un adeguato sistema di farmaco-vigilanza. Trascurare la farmaco-vigilanza significa dare un messaggio sbagliato sui vaccini, cioè significa negare l’esistenza degli effetti collaterali.
Interventi in caso di emergenze sanitarie o di compromissione dell’immunità di gruppo
In linea di principio, nulla da dire quando si creano situazioni di emergenza e necessitano piani straordinari di intervento, anche se personalmente
– preferirei proprio perché “emergenza” anche in questo caso un ruolo decisionale protagonista della politica,
– non mi affiderei per decidere cosa fare in caso di emergenza ad un algoritmo,
– auspicherei la definizione di alcune garanzie democratiche a difesa delle libertà individuali.
Mi spiego meglio:
– alla logica lineare del disegno di legge cioè del” pilota automatico” “scostamento” uguale “piano straordinario” con un ruolo quasi di passacarte, delle istituzioni pubbliche preferirei,
– che le istituzioni deputate, quindi la politica, vagliasse gli eventuali scostamenti, ne valutasse il grado di scarto, li contestualizzasse nei confronti delle situazioni rispetto alle quali essi sono riconducibili, e caso per caso, decidesse il da farsi ma decidendo anche le modalità più opportune e le garanzie da dare al cittadino.
Cioè prima di adottare i piani straordinari di intervento e quindi prima di decidere “l’obbligo di effettuazione di una o più vaccinazioni” il governo, trattandosi di faccende che hanno a che fare con le libertà individuali, deve informare il parlamento impegnandosi a garantire il cittadino sulla indispensabilità dei provvedimenti necessari, sulle loro modalità, sulla loro durata, sulle condizioni operative, garantendo una informazione pubblica ineccepibile.
Cosa si fa nella normalità?
Ma mentre è chiaro cosa si fa in caso di emergenza non è chiaro cosa si fa nella normalità.
Nella normalità valgono le stesse misure ad esempio le stesse obbligatorietà che vengono adottate nelle situazioni di emergenza? Chi decide cosa fare nella normalità?
Se questo punto non viene chiarito il rischio che si corre è quello di essere in una permanente emergenza e quindi di adottare ordinariamente misure obbligatorie straordinarie. Alla fine il rischio reale è quello di allargare impropriamente e automaticamente l’area dell’obbligatorietà il che per i promotori che hanno contestato la legge 119 sarebbe quanto meno allo stesso tempo una contraddizione e un paradosso. Per combattere l’obbligazionismo si rischia di accrescere l’obbligazionismo.
Gli scopi degli scopi
Mentre è chiaro che gli scopi dei vaccini sono sanitari quindi profilattici non è chiaro, leggendo il disegno di legge, quali siano gli “scopi degli scopi” cioè quelli politici del disegno di legge sui vaccini.
Qual è l’ideale della legge considerando che essa si rivolge ad una società per definizione complessa? Rendere tutto obbligatorio? Ridurre l’obbligatorietà? Creare le condizioni per arrivare ad una società dove non ci sia bisogno di obbligare nessuno a fare i vaccini, cioè una società fondata sull’obbligo morale del cittadino e sulla responsabilità sociale.? Sostituire l’obbligatorietà con il consenso informato?
La domanda è: a quale strategia si riferisce il disegno di legge?
Nella relazione di accompagnamento non vi è nessun riferimento alla strategia che si auspica.
Supponiamo che la strategia sia quella di mettere al centro della legge il dovere alla salute del cittadino e quindi la sua responsabilizzazione, cosa si dovrebbe fare per raggiungere questo obiettivo?
A mio parere si dovrebbe prevedere una fase di transitorietà nell’ambito della quale adottare da subito alcune decisioni:
– ridurre al massimo il grado di obbligatorietà della legge 119,
– limitare l’obbligo alle sole malattie trasmissibili,
– prevedere il ricorso al consenso informato,
– organizzare tutto quanto serve a sensibilizzare il cittadino.
In questo modo si manderebbe un messaggio chiaro sull’obiettivo finale che è quello di mettere al centro delle strategie profilattiche il cittadino le sue necessità, le sue preoccupazioni, le garanzie che chiede e di cui ha bisogno.
Conclusione
Oggi il disegno di legge per me deve operare sostanzialmente per ridurre al massimo i problemi della esitazione sociale e ricreare le condizioni di fiducia nella gente perduta. L’obiettivo finale quindi sono le coscienze delle persone per qualificare una maggiore libertà di scelta.
Ho chiesto ai promotori della legge se esiste la possibilità concreta di migliorare il testo del disegno di legge, mi è stato risposto di sì. Bene per quello che mi riguarda sono pronto a dare una mano.
Ivan Cavicchi
31 gennaio 2019
http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=70489
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Caro Babbo Natale, ti scrive un quarantenne malato ma tenace… il Ssn
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di Nino Cartabellotta*
voglio innanzitutto condividere con te la mia grande emozione perché è arrivato il momento di spegnere 40 candeline. Era il 23 dicembre 1978 quando, dopo una lunga gestazione dentro e fuori le stanze dei bottoni, venni alla luce in un’aula parlamentare accolto da un grande consenso. Ben 381 persone mi aiutarono a nascere, mentre 77 non volevano arrivassi al mondo e 7 si lavarono le mani come Pilato.Da allora anche tu, che viaggi in tutto il mondo per la consegna dei regali, sei un testimonial d’eccezione: in Italia sei stato sempre curato con grande competenza professionale, straordinaria umanità e, soprattutto, senza alcuna richiesta di polizza assicurativa o carta di credito. Questo miracolo italiano è stato possibile proprio perché, in piena atmosfera natalizia, mentre tu preparavi la slitta, il mio atto di nascita sanciva che dovevo “promuovere, mantenere e recuperare la salute fisica e psichica di tutta la popolazione”, nel rispetto dell’uguaglianza e della libertà di tutte le persone.
Emozioni a parte, purtroppo, mentre di solito a 40 anni si è nel pieno delle facoltà fisiche e mentali, io sono pieno di acciacchi, depresso e talmente sfiancato da non aver la forza di spegnere le candeline in un colpo solo. Ecco perché, qualche mese fa ho deciso di sottopormi ad un accurato check up del mio stato di salute in una clinica specializzata. Come puoi ben immaginare, il referto che mi hanno consegnato non lascia adito a dubbi: sono un paziente cronico con multimorbidità e prognosi infausta. E quel che più mi preoccupa, caro Babbo Natale, è che la mia non sarà una morte improvvisa senza sofferenze, perché sono condannato ad un lento e progressivo decadimento delle funzioni vitali che compromette giorno dopo giorno la mia capacità di tutelare la salute delle persone.
La diagnosi principale è quella di insufficienza respiratoria cronica restrittiva: mi hanno progressivamente chiuso la valvola dell’ossigeno, sottraendo negli ultimi 10 anni dal mio salvadanaio oltre 37 miliardi di euro. Mi hanno lasciato solo con un filo di ossigeno che non migliora affatto le mie capacità respiratorie perché la bombola è difettosa, visto che l’aumento percentuale del fabbisogno sanitario nazionale annuo è inferiore a quello dell’inflazione media. Mi hanno diagnosticato anche un severo ipertiroidismo con iperconsumo metabolico: infatti, mentre l’insufficienza respiratoria peggiorava hanno riempito a dismisura il paniere dei nuovi LEA, un grande traguardo politico che al momento rimane un’illusione collettiva visto che la coperta è troppo corta e le prestazioni sanitarie promesse ai cittadini non vengono mai sfoltite. Sono anche affetto da una malattia autoimmune, il lupus eritematoso sistemico che colpisce tutti gli organi e gli apparati, perché sprechi e inefficienze si annidano a tutti i livelli e, nonostante le varie misure di “efficientamento”, nessuno è stato in grado di avviare un’adeguata terapia immunosoppressiva per recuperare preziose risorse. Infine, sono anche stato infettato dal virus del papilloma umano, che si è integrato nel mio DNA e silenziosamente rischia di causarmi varie malattie, tumori inclusi. E’ l’espansione incontrollata del “secondo pilastro” che si propone come soluzione alla mia sopravvivenza. Peccato che non si tratta affatto di un pilastro di sostegno, ma di affondamento: se fosse un farmaco, considerati i numerosi effetti collaterali sui miei “organi e apparati”, qualsiasi agenzia regolatoria ne avrebbe già imposto il ritiro dal mercato.
Ma non è finita qui, perché il referto identifica due fattori ambientali che ostacolano enormemente il mio lavoro e, a parità di fatica, i risultati sono sempre meno brillanti. Il primo è uno scarso spirito di collaborazione familiare tra un papà generoso, ma debole, e 21 figli non tutti in grado di gestire adeguatamente la “paghetta” assegnata. Questo rapporto tra padre e figli è leale solo sulla carta: se lo Stato non è in grado di usare con sano equilibrio bastone e carota, le Regioni hanno trovato 21 modi diversi per organizzare ed erogare l’assistenza sanitaria, legando il diritto alla tutela della salute al CAP di residenza delle persone. Senza contare che da poco è scoppiata l’epidemia del regionalismo differenziato, un virus molto contagioso che rischia di assestare il colpo finale all’universalismo integrato nel mio DNA.
Inoltre, l’ambiente in cui lavoro è viziato da aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti che oggi, piuttosto che alla tutela della salute, mirano a soddisfare un compulsivo desiderio di prestazioni sanitarie, anche quelle che non servono o che sono addirittura dannose, salvo poi lamentarsi per i tempi di attesa. Una involuzione consumistica dei miei “azionisti di maggioranza”, favorita da una politica che li ha sempre considerati più come un elettori da compiacere che come persone di cui prendersi cura e da professionisti che, per interessi personali e timori medico-legali, hanno contribuito a medicalizzare la società. In questo terreno già fertile viene continuamente sparso un concime dalla composizione letale: analfabetismo scientifico, facilità di accesso tramite internet a informazioni false o fuorvianti e viralità dei social. Così il mio lavoro, invece che essere guidato dalla scienza, viene ogni giorno condizionato da bufale e fake news, oltre che da sedicenti imbonitori che lucrano sul dolore e sulla sofferenza.
Caro Babbo Natale, le malattie di cui sono affetto e il contesto in cui vivo peggiorano sempre di più il mio stato di salute, ma io non mollo, sia perché ritengo di essere unico e insostituibile, sia soprattutto perché sarebbe una grande ingiustizia sociale lasciare orfane le generazioni future. Considerato che la clinica specializzata ha predisposto un piano terapeutico personalizzato da cui dipende la mia sopravvivenza, quest’anno mi limito ad esprimere un solo desiderio finalizzato all’attuazione di questa terapia salvavita.
Dopo 40 anni di onorato servizio, vorrei finalmente un patto politico in grado di rilanciare il mio valore sociale, perché la salute delle persone viene prima di tutto e la sanità rappresenta una leva fondamentale per lo sviluppo economico del Paese.
Sì lo so, caro Babbo Natale, si tratta proprio di un regalo enorme che non potrebbe mai passare da nessun camino. Ma sai bene che puoi lasciarlo dove vuoi perché io da 40 anni sono sempre sveglio 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per tutelare la salute di 60 milioni di persone.
Ah dimenticavo… per i miei 40 anni nessuno si è preoccupato di lasciare un simbolo, magari un francobollo o una moneta. Per fortuna, la clinica specializzata, oltre che del mio stato di salute, si è occupata anche della mia immagine, regalando a tutti un meraviglioso logo per non dimenticare il mio quarantesimo compleanno, ma soprattutto il mio valore.
Ricordati di lei, quando consegni i regali. Ricordati della Fondazione GIMBE.
*presidente Fondazione GIMBE
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