L’Asl denuncia Stampini il falso medico in sala parto

L’Asl denuncia Stampini il falso medico in sala parto

DOLO. L’Usl 3 denuncerà per truffa aggravata ll falso medico Andrea Stampini, l’uomo che fu denunciato per abuso di professione e lesioni gravi in relazione alle menomazioni subite da un bimbo durante il parte (26 dicembre 2014), da due genitori di Camponogara. Il bimbo fu gravemente lesionato e oggi che ha due anni corre il rischio di rimanere in carrozzina tutta la vita. A spiegare che intende agire contro Stampini in sede penale è la stesa direzione dell’ex Asl 13. L’azienda sanitaria infatti ricorda che il falso medico ha truffato tutti, tra cui anche l’ex Asl 13, presentando certificati falsi prima di laurea e poi di idoneità primariale. Stampini era stato reclutato da una ditta che fornisce personale sanitario per coprire turni a chiamata. Per questo sentendosi parte offesa dal comportamento di Stampini, l’Asl 13 ha deciso di presentare in tribunale una denuncia per truffa aggravata. Va detto che nell’udienza che si è tenuta nelle scorse settimane al Tribunale di Venezia il giudice Enrico Ciampaglia ha chiamato a giudizio per responsabilità civile anche l’ex Usl 13 di Mirano – Dolo. A difendere la famiglia c’erano gli avvocati Giorgio Bortolotto e l’avvocato Silvia Sorrentino di Mestre, per il Tribunale del Malato l’avvocato Tiziana Ceschin: il “dottor” Stampini infatti non era nè medico nè ginecologo ma l’ex Asl 13 non se n’era mai accorta. La famiglia dopo la nascita del bambino aveva fatto un esposto dal quale è partita una inchiesta della Procura di Venezia per far luce sulle circostanze del parto all’ospedale di Dolo. Stampini avrebbe insistito oltremisura per fare un parto naturale quando c’era la necessità di agire

diversamente. Dall’inchiesta della Procura è emerso che Stampini non aveva i titoli accademici per poter svolgere la professione medica: pur avendo fatto il primario e lavorato in tre diversi ospedali, è solamente un geometra. La prossima udienza è fissata per il 20 gennaio. (a.ab.)

Questionario del Tribunale del malato DOLO, in occasione della “Settimana del Pronto soccorso

Questionario del Tribunale del malato DOLO, in occasione della “Settimana del Pronto soccorso

DOLO. In occasione della “Settimana del Pronto soccorso” i volontari dell’associazione Tribunale del malato della Riviera saranno presenti martedì e giovedì nei Pronto soccorso di Dolo e Mirano per sottoporre dei questionari ai pazienti e ai familiari. «Il monitoraggio civico», scrive Sandra Boscolo, presidente Tribunale del malato della Riviera, «verte sulle caratteristiche strutturali e organizzative del Pronto soccorso e sull’attenzione prestata ai pazienti cosi come sui flussi di gestione e dati. Questi ultimi saranno estrapolati dai medici del Pronto soccorso. Il significato della partnership con il Tribunale del malato sottolinea che i professionisti sanitari della Società italiana della medicina dell’emergenza-urgenza sono a fianco dei pazienti nell’impegno per un sistema sanitario pubblico efficiente».

Venerdì è prevista un’altra iniziativa: «Porteremo del materiale di arredo per i bambini di Pediatria di Dolo», prosegue Sandra Boscolo, «acquistato grazie a una donazione dell’avvocato Silvia Sorrentino che ha destinato il compenso di una causa».

 

 

 

 

Smarrita la diagnosi di cancro: “Mi hanno condannato a morte”

Smarrita la diagnosi di cancro: “Mi hanno condannato a morte”

Antonio Boran, 58 anni, non ha ricevuto l’esito dell’esame. Ora chiede 1,5 milioni di risarcimento di Elena Livieri

SANT’ANGELO DI PIOVE. «La mia malattia galoppa e chi dovrebbe almeno chiedere scusa continua con un vergognoso scaricabarile e cerca solo pretesti per allungare tempi. Ma il tempo è l’unica cosa che io non ho»: Antonio Boran 58 anni, di Sant’Angelo di Piove, da anni fa i conti con un tumore. Male che avrebbe potuto combattere sul nascere, con esiti positivi, se solo gli fosse stato comunicato l’esito dell’esame a cui si era sottoposto nel 2011 aderendo allo screening che l’Usl promuove proprio per fare prevenzione. Quell’esito, però, ad Antonio Boran non è mai arrivato. Perso nei meandri del cervellone informatico della sanità di cui è titolare la Regione Veneto.

La sua storia, raccontata dal mattino lo scorso luglio, è finita l’altra sera anche in tv, alla trasmissione “Mi manda Rai Tre”. «Forse Usl e Regione, che finora non hanno nemmeno mai ritenuto di chiedere scusa» fa notare Boran, «non si rendono conto che un errore del computer per me ha significato una condanna a morte». L’ex agente di commercio – il lavoro lo ha dovuto lasciare proprio a causa della malattia – parla sulla scorta di due perizie medico legali, una ordinata dal suo legale – l’avvocato Silvia Sorrentino – al dottor Roberto Garufi e una ordinata dal Tribunale al dottor Luca Pieraccini le quali attestano che il suo destino sarebbe stato diverso se l’esito di quell’esame per rilevare l’eventuale presenza di sangue nelle feci – indicatore di un possibile tumore al colon – gli fosse stato comunicato.

Boran ha trovato sostegno del Tribunale del malato di Dolo, nel Veneziano, e assistito dall’avvocato Sorrentino ha fatto causa all’Usl 16, chiedendo un risarcimento di un milione e mezzo di euro. «Non lo faccio per me» sottolinea, «penso alla mia famiglia. Il danno che hanno fatto a me non può essere quantificato». L’esito della prima udienza è stato un pungo dritto in faccia per il 58enne: «Usl e Regione hanno chiesto una perizia sul software a cui si imputa l’errore per cui non è stato comunicato l’esito dell’esame» racconta Boran, «mi chiedo qualsiasi sia l’esito di questa perizia cosa possa cambiare. E per chi. Io penso sia solo un modo meschino per tirare avanti. Per questo ho voluto denunciare il mio caso anche in tivù: è vergognoso che le istituzioni non si assumano le loro responsabilità di fronte a un cittadino».

Non è facile la vita di Antonio Boran: ha già subito sei interventi, al fegato, ai polmoni e al colon. Intervallati da cicli continui e massacranti di chemioterapia. La prossima settimana l’ennesimo appuntamento con la sala operatoria, per un una nuova operazione al fegato.

Mentre ci parla Boran è in viaggio di ritorno da Roma: «Oggi mi ricoverano per dei controlli al cuore» dice, «la settimana prossima torno sotto i ferri. Qualche secondo di silenzio. «Io sono felice» riprende, «prima di andare in ospedale andrò a salutare il mio nipotino nato dieci giorni fa».

L’Usl non gli dà i risultati degli esami: «Mi hanno condannato a morte»

L’Usl non gli dà i risultati degli esami: «Mi hanno condannato a morte»

Antonio Boran non ha mai ricevuto dall’Usl 16 l’esito di un esame che gli avrebbe permesso di prevenire il tumore. Adesso chiede i danni

di Elena Livieri

SANT’ANGELO DI PIOVE.

Sapere di dover morire a causa di una grave malattia. Sapere che si sarebbe potuto evitare l’appuntamento – quell’appuntamento – con la morte se solo fosse stato comunicato l’esito di un esame medico fatto apposta per prevenire la malattia. Non è semplice destino quello di Antonio Boran. «È una condanna a morte» dice lui. E tanto basta. Ex agente di commercio, 57 anni, sposato con due figli, vive a Sant’Angelo di Piove. Il lavoro ha dovuto lasciarlo l’anno scorso. Pensionamento per inabilità lavorativa, dovuta al suo stato di salute. È malato di tumore Antonio Boran. Non ha alcuna remora a parlarne. Il “brutto male” che solitamente si pronuncia a denti stretti, quasi facesse meno male così, Antonio lo vuole urlare. E raccontare. «Da perdere» dice, «io non ho più nulla. Mi hanno condannato. Quello che faccio è per la mia famiglia».

È una situazione doppiamente difficile quella da cui il cinquantasettenne racconta il suo calvario. Perché su ogni parola c’è il peso della consapevolezza che tutto il dolore che sta sopportando poteva essere evitato. «Nel 2011 ho aderito alla campagna di screening dell’Usl 16 che prevedeva l’esame del sangue occulto che può essere indicativo della presenza di un tumore al colon» racconta Boran, esame di cui non ho mai ricevuto l’esito». Nella lettera di invito alla campagna di prevenzione, viene evidenziato come, a fronte di un rilievo positivo all’esame venga comunicata all’utente la positività “con lettera raccomandata” proponendo inoltre approfondimento tramite colonscopia con appuntamento prefissato all’ospedale Sant’Antonio di Padova. Boran non riceve alcuna raccomandata dall’Usl 16. È tranquillo. Ma nel 2012 inizia a stare male. Dolori al fegato, disturbi intestinali. Esegue una ecografia ordinata dal medico di base e anche in questo caso non viene rilevato nulla di anomalo. «Il problema viene fuori nel 2013» riprende Antonio, «quando inizio ad avere disturbi intestinali. Mi viene ordinata una gastroscopia e quindi una colonscopia. Ed è solo allora che mi viene diagnosticato il tumore». Boran viene ricoverato d’urgenza. Il male, partito dal colon, ha già intaccato fegato e polmoni. Viene sottoposto a diversi interventi chirurgici, intervallati da massicci cicli di chemioterapia. Fin qui il danno. La “beffa” arriva nel 2014. «Un giorno mia moglie, che è infermiera, parla con una paziente la quale le racconta di avere un tumore al seno, partito dal colon. Anche lei si era sottoposta allo screening come me e non le era stato comunicato l’esito. A quel punto ci è venuto il terribile dubbio».

Antonio Boran si precipita a chiedere all’Usl 16 l’esito dell’esame fatto tre anni prima. E scopre che sì, era positivo. E nessuno glielo ha mai comunicato. «Se mi fossi curato subito la malattia non sarebbe evoluta, starei bene adesso» dice a denti stretti. Che il destino di Boran sarebbe stato diverso lo conferma il medico legale a cui si è rivolto, il dottor Roberto Garufi. Ma emerge anche dalla perizia medico legale ordinata dal Tribunale al dottor Luca Pieraccini quando è stata fatta causa all’Usl 16.

Boran, infatti, ha trovato un appoggio al Tribunale del malato di Dolo ed è seguito dall’avvocato Silvia Sorrentino. «La perizia medico legale» conferma Sorrentino, «mette nero su bianco un fatto tremendo, ovvero che se Antonio avesse avuto l’esito di quello screening nel 2011 si sarebbe curato e non si sarebbe generato il tumore. Abbiamo avviato un procedimento civile chiedendo all’Usl 16 un risarcimento di un milione e mezzo di euro. L’Usl ha chiamato in causa la Regione Veneto» spiega il legale, «in quanto titolare del software in dotazione negli ospedali che viene utilizzato per incrociare i dati dei pazienti e degli esami a cui vengono sottoposti, adducendo come causa della mancata comunicazione un errore del software». La prima udienza sarà a settembre. «I soldi non sono una consolazione» dice Antonio, «sono solo un “riparo” per la mia famiglia. Quello che mi è successo e’ terribile, è difficile accettare che il proprio destino sia stato determinato da un computer, da un errore, una dimenticanza. So di avere un orizzonte limitato» conclude il cinquantasettenne, «ma non mi arrendo. Una cosa simile non deve mai più accadere».

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