Legato al letto, muore: in due vanno a processo
PONTE DI BRENTA. Il medico non aveva prescritto l’uso del cosiddetto “mezzo di contenzione”. Eppure un’infermiera Maria Rosaria Pedone 27enne di Trinitapoli (in Puglia) e un’operatrice sanitaria Annamaria Dalla Riva, 52 di Ponte San Nicolò, avevano deciso di legare al letto il paziente della casa di riposo Breda in via Ippodromo 2 a Ponte di Brenta gestita dall’Istituto Configliachi, assumendosi una responsabilità che non competeva loro.
E, per di più, omettendo di controllare la condizione dell’ospite nel corso della notte e il corretto posizionamento di quello strumento contenitivo. Così nel disinteresse totale si è consumata la tragedia: Graziano Zilio, ex infermiere 61enne di Dolo, aveva tentato inutilmente di liberarsi.
Anzi, stringendo involontariamente sempre più intorno a se stesso quella cintura fissata con bende al letto, è morto soffocato contro tra la spondina per un’insufficienza cardio-respiratoria acuta provocata da quella posizione. Era il 12 febbraio 2014.
Ora le due donne sono finite a processo davanti al giudice di Padova Nicoletta De Nardus che, ieri, ha ammesso come parte civile il tribunale per i Diritti del malato rappresentato dall’avvocato Tiziana Ceschin di Venezia, mentre si erano già costituiti parte civile i figli della vittima, difesi dall’avvocato Giorgio Bortolotto, e la vedova, tutelata dall’avvocato Silvia Sorrentino.
I familiari hanno citato pure come responsabile civile l’Istituto Configliachi (difeso dall’avvocato Michele Godina). Maria Rosaria Pedone (difesa dall’avvocato Fabio Pinelli) e Annamaria Dalla Riva (difesa dagli avvocati Lorenzo Locatelli e Elisa Polato) sono accusate di cooperazione in omicidio colposo in quanto avevano legato al letto il 61enne in assenza di una prescrizione medica e delle condizioni eccezionali e di urgenza che giustificano il ricorso alle cinghie contenitive durante il riposo notturno.
Il paziente era stato dimesso tre giorni prima, il 7 febbraio, dal reparto di Psichiatria dell’ospedale di Dolo con la certificazione di un “parziale ma soddisfacente miglioramento del quadro di ingresso con tranquillizzazione del paziente e sostanziale docilità e facile gestibilità comportamentale”.
Forse quella notte Graziano Zilio, ricoverato in una stanza singola, aveva manifestato qualche forma di irrequietezza ma il medico di turno non era mai stato informato. E, secondo la procura che ha chiesto il rinvio a giudizio, le due dipendenti avevano fatto tutto in piena autonomia tralasciando qualsiasi controllo nei confronti dell’ospite che avrebbe dovuto essere monitorato.
Tanto che il pm Roberto D’Angelo, titolare dell’inchiesta, ha contestato la mancata sorveglianza e la mancata assistenza indispensabili per interrompere «lo stato di prostrazione fisica e psichica del paziente». Pm che la mattina del ritrovamento, avvenuto intorno
alle 5.30, era andato a fare un sopralluogo nella casa di riposo: il decesso sarebbe avvenuto tra le 2.30 e le 4.30.
Un decesso che non ha mai convinto i familiari che hanno presentato la denuncia destinata a innescare l’inchiesta. Il processo entrerà nel vivo il 21 settembre.