L’Usl non gli dà i risultati degli esami: «Mi hanno condannato a morte»
Antonio Boran non ha mai ricevuto dall’Usl 16 l’esito di un esame che gli avrebbe permesso di prevenire il tumore. Adesso chiede i danni
di Elena Livieri
SANT’ANGELO DI PIOVE.
Sapere di dover morire a causa di una grave malattia. Sapere che si sarebbe potuto evitare l’appuntamento – quell’appuntamento – con la morte se solo fosse stato comunicato l’esito di un esame medico fatto apposta per prevenire la malattia. Non è semplice destino quello di Antonio Boran. «È una condanna a morte» dice lui. E tanto basta. Ex agente di commercio, 57 anni, sposato con due figli, vive a Sant’Angelo di Piove. Il lavoro ha dovuto lasciarlo l’anno scorso. Pensionamento per inabilità lavorativa, dovuta al suo stato di salute. È malato di tumore Antonio Boran. Non ha alcuna remora a parlarne. Il “brutto male” che solitamente si pronuncia a denti stretti, quasi facesse meno male così, Antonio lo vuole urlare. E raccontare. «Da perdere» dice, «io non ho più nulla. Mi hanno condannato. Quello che faccio è per la mia famiglia».
È una situazione doppiamente difficile quella da cui il cinquantasettenne racconta il suo calvario. Perché su ogni parola c’è il peso della consapevolezza che tutto il dolore che sta sopportando poteva essere evitato. «Nel 2011 ho aderito alla campagna di screening dell’Usl 16 che prevedeva l’esame del sangue occulto che può essere indicativo della presenza di un tumore al colon» racconta Boran, esame di cui non ho mai ricevuto l’esito». Nella lettera di invito alla campagna di prevenzione, viene evidenziato come, a fronte di un rilievo positivo all’esame venga comunicata all’utente la positività “con lettera raccomandata” proponendo inoltre approfondimento tramite colonscopia con appuntamento prefissato all’ospedale Sant’Antonio di Padova. Boran non riceve alcuna raccomandata dall’Usl 16. È tranquillo. Ma nel 2012 inizia a stare male. Dolori al fegato, disturbi intestinali. Esegue una ecografia ordinata dal medico di base e anche in questo caso non viene rilevato nulla di anomalo. «Il problema viene fuori nel 2013» riprende Antonio, «quando inizio ad avere disturbi intestinali. Mi viene ordinata una gastroscopia e quindi una colonscopia. Ed è solo allora che mi viene diagnosticato il tumore». Boran viene ricoverato d’urgenza. Il male, partito dal colon, ha già intaccato fegato e polmoni. Viene sottoposto a diversi interventi chirurgici, intervallati da massicci cicli di chemioterapia. Fin qui il danno. La “beffa” arriva nel 2014. «Un giorno mia moglie, che è infermiera, parla con una paziente la quale le racconta di avere un tumore al seno, partito dal colon. Anche lei si era sottoposta allo screening come me e non le era stato comunicato l’esito. A quel punto ci è venuto il terribile dubbio».
Antonio Boran si precipita a chiedere all’Usl 16 l’esito dell’esame fatto tre anni prima. E scopre che sì, era positivo. E nessuno glielo ha mai comunicato. «Se mi fossi curato subito la malattia non sarebbe evoluta, starei bene adesso» dice a denti stretti. Che il destino di Boran sarebbe stato diverso lo conferma il medico legale a cui si è rivolto, il dottor Roberto Garufi. Ma emerge anche dalla perizia medico legale ordinata dal Tribunale al dottor Luca Pieraccini quando è stata fatta causa all’Usl 16.
Boran, infatti, ha trovato un appoggio al Tribunale del malato di Dolo ed è seguito dall’avvocato Silvia Sorrentino. «La perizia medico legale» conferma Sorrentino, «mette nero su bianco un fatto tremendo, ovvero che se Antonio avesse avuto l’esito di quello screening nel 2011 si sarebbe curato e non si sarebbe generato il tumore. Abbiamo avviato un procedimento civile chiedendo all’Usl 16 un risarcimento di un milione e mezzo di euro. L’Usl ha chiamato in causa la Regione Veneto» spiega il legale, «in quanto titolare del software in dotazione negli ospedali che viene utilizzato per incrociare i dati dei pazienti e degli esami a cui vengono sottoposti, adducendo come causa della mancata comunicazione un errore del software». La prima udienza sarà a settembre. «I soldi non sono una consolazione» dice Antonio, «sono solo un “riparo” per la mia famiglia. Quello che mi è successo e’ terribile, è difficile accettare che il proprio destino sia stato determinato da un computer, da un errore, una dimenticanza. So di avere un orizzonte limitato» conclude il cinquantasettenne, «ma non mi arrendo. Una cosa simile non deve mai più accadere».
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