Autore: admin
Tribunale del malato. Negata autorizzazione per l’indagine sulla professione infermieristica
Gli amputano la gamba, l’Inps chiede la verifica
Boom di contatti in rete per il caso dell’amputato
Ispezione dell’INPS a uomo senza gamba
Anziano con la gamba amputata. Visita eseguita, si attende l’esito
L’INPS GLI HA NEGATO LA VISITA DOMICILIARE
Legge 9 marzo 2006, n. 80
“Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 4, recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione.”
Articolo 6.(Semplificazione degli adempimenti amministrativi per le persone con disabilità)
…..omissis……
3. Il comma 2 dell’articolo 97 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, è sostituito dal seguente:
«2. I soggetti portatori di menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescenti, inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide, che abbiano dato luogo al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento o di comunicazione sono esonerati da ogni visita medica finalizzata all’accertamento della permanenza della minorazione civile o dell’handicap. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sono individuate, senza ulteriori oneri per lo Stato, le patologie e le menomazioni rispetto alle quali sono esclusi gli accertamenti di controllo e di revisione ed è indicata la documentazione sanitaria, da richiedere agli interessati o alle commissioni mediche delle aziende sanitarie locali qualora non acquisita agli atti, idonea a comprovare la minorazione.». (2)
Pubblicata in Gazzetta Ufficiale 11 marzo 2006, n. 59
INPS: se le regole fanno a pugni con il buonsenso
Arto amputato. L’Inps si difende:”normale visita”
E’ senza una gamba. L’Inps vuole verificare
Fino a che punto devo curare con “scienza e coscienza” e fino a che punto devo “obbedire” alla legge?
Fino a che punto devo curare con “scienza e coscienza” e fino a che punto devo “obbedire” alla legge?
26 NOV – Gentile direttore,
Da semplice medico di campagna che vive ogni giorno a contatto con il malato “reale”, trovo quanto mai surreale il tentativo del prof. Benci di liquidare la medicina ippocratica. Come tutti i medici che si sono formati negli ultimi decenni, sono cresciuta professionalmente basandomi sui principi dell’ ippocratismo che ci ha resi capaci di diagnosticare una malattia, di valutare una progonosi e di impostare una terapia.
All’inizio della professione ho giurato, come ancora oggi fanno i giovani medici presso i nostri Ordini (non mi risulta che gli Ordini ne abbiano “sancito la fine”) sul giuramento di Ippocrate, che pur nella sua versione moderna, sancisce principi inalienabili per la nostra professione.
L’avvento del consenso informato che, giustamente pone il malato nella condizione di conoscere la sua malattia, le possibilità di cura e i rischi in cui può incorrere e gli dà facoltà di rifiutare il trattamento proposto, non ha certo rivoluzionato l’intero paradigma della medicina ippocratica, semmai ne ha modificato una piccola parte. Quanto poi realmente abbia inciso sulla relazione medico paziente e quanto invece sia diventato “prassi” burocratica, non è ancora chiaro del tutto (ma un piccolo assaggio degli eccessi a cui si è giunti è ben descritto dal dr. Cavalli su QS del 25.11.2017).
Certo è che la medicina ippocratica è molto di più del consenso informato: è per esempio avere chiaro che siamo chiamati ad esercitare la medicina con libertà e autonomia di giudizio prestando la propria opera con diligenza, perizia e prudenza secondo scienza e coscienza.
Catalogare come anacronistico il fatto di curare in “scienza e coscienza”, fa pensare che non si conosca realmente cosa significhi fare il medico.
Davvero il prof. Benci pensa che usare la “coscienza” assieme alla scienza sia un tentativo del medico di mettere in primo piano le sue convinzioni per far prevalere il suo potere sul malato?
Forse che pensa che si possa fare il medico applicando pedissequamente protocolli e linee guida senza adattarli alla persona che si ha davanti? La scienza può curare la malattia, il medico cura la persona.
Fare il medico è un’arte che richiede conoscenze empiriche, capacità logiche, metodo per decidere e scegliere, regole di comportamento, capacità di relazionarsi all’altro e attitudine a gestire il forte impatto emozionale che si crea nella relazione di cura.
Credo che nessun medico lavori per prevaricare sui suoi malati, almeno che non sia un folle.
Semmai quello che dovrebbe preoccupare i cittadini/ pazienti è la restrizione di autonomia ,dettata da una visione economicista della salute, che rischia di incidere pesantemente sulle scelte del medico.
Il controllo sempre più serrato della spesa sanitaria sta sottraendo “autonomia” alla nostra professione costringendoci a operare scelte talvolta meno opportune per il malato. Se mi si impone di chiedere meno Risonanza magnetiche, perché costano troppo, finisco per optare per una ecografia che magari mi darà una risposta parziale e non soddisfacente al mio quesito. Magari non danneggio il paziente ma non gli fornisco neanche la migliore tra le cure possibili. Se mi si impone di non prescrivere mammografie a chi ha meno di 45 anni, magari finisco per non diagnosticare forme precoci di cancro alla mammella che potrebbero essere curati con meno danno alla persona.
Fino a che punto devo curare con “scienza e coscienza” e fino a che punto devo “obbedire” alla legge dello Stato?
Mi piacerebbe che chi non fa il medico ma si occupa di sanità dal punto di vista giuridico, filosofico o sociologico, provasse a dare una risposta a questi temi, perché c’è bisogno sicuramente di fare un passo avanti. Lo dice bene il prof. Cavicchi (QS 20 novembre) “Oggi la medicina è a un punto di non ritorno rispetto al quale o si fa un salto nel neo-ippocratismo e quindi si evolve o si sprofonda sempre più nella medicina amministrata e quindi si degenera”.
Ornella Mancin
Medico di famglia
Cavarzere (VE)
26 novembre 2017
http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=56320&fr=n