I nuovi LEA sulla Gazzetta

I nuovi Lea sulla Gazzetta. Il testo, gli allegati e tutte le novità delle prestazioni offerte dal Ssn

Sbarcano finalmente in Gazzetta i nuovi Lea firmati da Gentiloni il 12 gennaio scorso. Moltissime le novità per una spesa aggiuntiva del Ssn finanziata con 800 milioni di euro vincolati. Il provvedimento interviene su quattro fronti: 1. definisce attività, servizi e prestazioni garantite ai cittadini dal Ssn; 2. descrive con maggiore dettaglio e precisione prestazioni e attvità oggi già incluse nei Lea; 3. ridefinisce e aggiorna gli elenchi delle malattie rare e delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all’esenzione; 4. innova i nomenclatori della specialistica ambulatoriale e dell’assistenza protesica. E Lorenzin istituisce una nuova task force per monitorarne l’applicazione. IL TESTO IN GAZZETTA.

18 MAR – Nomenclatore protesico, fecondazione assistita eterologa ed omologa, nuovi vaccini (come l’anti Pneumococco, l’anti Meningococco e l’anti Varicella, ed estende quello per il Papillomavirus anche agli adolescenti maschi), screening alla nascita, esenzione dal ticket per chi soffre di endometriosi.

Novità anche per la Pma con l’eterologa che entra a pieno titolo nelle prestazioni del Ssn. E non solo, la celiachia passa invece dall’elenco delle malattie rare a quelle croniche. E poi esenzioni per ulteriori 118 malattie rare e revisione dell’elenco delle malattie croniche con l’aggiunta di 6 patologie tra cui la Broncopneumopatia. Novità sul anche trattamento dell’autismo e sull’appropriatezza prescrittiva. Previsti anche i trattamenti contro la ludopatia, le cure per l’adroterapia per la cura dei tumori e la terapia del dolore

Queste sono solo alcune delle nuove prestazioni sanitarie che il Servizio sanitario nazionale dovrà garantire secondo quanto previsto dal Dpcm sui nuovi Livelli essenziali di Assistenza (Lea), le cure e prestazioni garantite ai cittadini gratuitamente o pagando un ticket.

L’impatto del corposo Dpcm è stato valutato dal Governo in 800 mln (vincolati al Fsn) ma dalle Regioni, nonostante l’intesa sottoscritta lo scorso anno, i dubbi sono elevati sul fatto che le risorse non sono sufficienti: secondo gli Enti locali per garantire il nuovo pacchetti di prestazioni sono necessari almeno 1,6 mld.

Con i nuovi Lea viene istituita anche la Commissione nazionale Lea che avrà il compito ogni anno di aggiornare (aggiungere o togliere) la lista dei livelli essenziali.

E’ inoltre in arrivo un decreto ministeriale che istituisce una task force composta da Ministero, Iss, Aifa, Agenas e Nas per un costante monitoraggio dell’applicazione dei nuovi Lea in tutte le Regioni con report trimestrali al ministro (vedi il testo in anteprima).

Ecco in sintesi le novità dei Nuovi Lea e del Nomenclatore della specialistica e delle protesi:

Il nuovo nomenclatore della specialistica ambulatoriale
Il nuovo nomenclatore provvede al necessario e atteso aggiornamento del nomenclatore disciplinato dal decreto ministeriale 22 luglio 1996, includendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed eliminando quelle ormai obsolete.

Vengono introdotte numerose procedure diagnostiche e terapeutiche che nel 1996 avevano carattere quasi “sperimentale” oppure erano eseguibili in sicurezza solo in regime di ricovero, ma che oggi sono entrate nella pratica clinica corrente e possono essere erogate in ambito ambulatoriale.
– individua chiaramente tutte le prestazioni di procreazione medicalmente assistita (PMA) che saranno erogate a carico del Servizio sanitario nazionale (fino ad oggi erogate solo in regime di ricovero)

– rivede profondamente l’elenco delle prestazioni di genetica e, per ogni singola prestazione, fa riferimento ad un elenco puntuale di patologie per le quali è necessaria l’indagine su un determinato numero di geni

– introduce la consulenza genetica, che consente di spiegare al paziente l’importanza ed il significato del test al momento dell’esecuzione, le implicazioni connesse al risultato al momento della consegna del referto ed, eventualmente, di fornire allo stesso il sostegno necessario per affrontare situazioni spesso emotivamente difficili

– introduce prestazioni di elevatissimo contenuto tecnologico (adroterapia) o di tecnologia recente (enteroscopia con microcamera ingeribile, radioterapia stereotassica)

Il nuovo nomenclatore dell’assistenza protesica.
Il nuovo nomenclatore dell’assistenza protesica consentirà, tra l’altro, di prescrivere:

– ausili informatici e di comunicazione (inclusi i comunicatori oculari e le tasIere adaEate per persone con gravissime disabilità)

– apparecchi acustici a tecnologia digitale
attrezzature domotiche e sensori di comando e controllo per ambienti
(allarme e telesoccorso)

– posaterie e suppellettili adattati per le disabilità motorie, barella adattata per la doccia, scooter a quattro ruote, carrozzine con sistema di verticalizzazione, carrozzine per grandi e complesse disabilità, sollevatori fissi e per vasca da bagno, sistemi di sostegno nell’ambiente bagno (maniglioni e braccioli), carrelli servoscala per interni

– arti artificiali a tecnologia avanzata e sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo

Revisione dell’elenco delle malattie rare
Il provvedimento prevede un consistente ampliamento dell’elenco delle malattie rare, realizzato mediante l’inserimento di più di 110 nuove entità tra singole malattie rare e gruppi di malattie Ad esempio, sono inserite nell’elenco: la sarcoidiosi; la sclerosi sistemica progressiva; la miastenia grave. Da notare come le prestazioni concernenti le malattie rare sono erogate in regime di esenzione.

Revisione dell’elenco delle malattie croniche
Importanti revisioni sono apportate anche all’elenco delle malattie croniche. Ad esempio:

– sono introdotte sei nuove patologie esenti: sindrome da talidomide, osteomielite cronica, patologie renali croniche, rene policistico autosomico dominante, endometriosi negli stadi clinici “moderato” e “grave”, broncopneumopatia cronico ostruttiva negli stadi clinici “moderato”, “grave” e “molto grave”

– vengono spostate tra le malattie croniche alcune patologie già esenti come malattie rare, quali: malattia celiaca, sindrome di Down, s. Klinefelter, connettiviti indifferenziate

Per la maggior parte delle malattie incluse nell’elenco sono individuate una serie di prestazioni fruibili in esenzione.
Per alcune particolari mala sono individuate puntualmente in quanto le necessità assistenziali dei pazienti sono estese e variabili. In tal caso, per garantire una maggiore flessibilità assistenziale, il medico le individuerà di volta in volta

Vaccini.
Vi è l’introduzione di nuovi vaccini (come: anti-Papillomavirus, anti- Pneumococco, anti-Meningococco) e l’estensione a nuovi destinatari (ad esempio, per il Papillomavirus il vaccino viene erogato anche agli adolescenti maschi)

Screening neonatale.
Vi è l’introduzione dello screening neonatale per la sordità congenita e la cataratta congenita e l’estensione a tutti i nuovi nati dello screening neonatale.

Endometriosi.
Viene previsto l’inserimento dell’endometriosi nell’elenco delle patologie croniche ed invalidanti, negli stadi clinici “moderato” e “grave”. Di conseguenza, si riconosce alle pazienti il diritto ad usufruire in esenzione di alcune prestazioni specialistiche di controllo. Si stimano circa 300.000 esenzioni

Celiachia.
La celiachia diviene, da malattia rara, una malattia cronica.
Ciò in quanto il percorso diagnostico di tale patologia non risulta, ad oggi, tortuoso, lungo e oneroso come avviene per i malati rari.

– sono mantenute in esenzione tutte le prestazioni di specialistica ambulatoriale comprese nei LEA, utili al monitoraggio della patologia e alla prevenzione delle complicanze e degli eventuali aggravamenti.

– come per tutte le malattie croniche è sufficiente una certificazione di malattia redatta da uno specialista del Servizio sanitario nazionale per ottenere il nuovo attestato di esenzione

Viene mantenuta la disciplina della concessione degli alimenti ai celiaci

Autismo.
Il nuovo schema di decreto recepisce la legge n. 134 del 2015, che prevede l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza per la diagnosi precoce, la cura e il trattamento individualizzato dei disturbi dello spettro autistico

Procreazione medicalmente assistita.
Sino ad oggi le prestazioni di procreazione medicalmente assistita erano erogate solo in regime di ricovero. Per il futuro:

– viene previsto l’inserimento nel nomenclatore della specialistica ambulatoriale di tutte le prestazioni necessarie nelle diverse fasi concernenti la procreazione medicalmente assistita, omologa ed eterologa.

– Tutte le prestazioni di raccolta, conservazione e distribuzione di cellule riproduttive finalizzate alla procreazione medicalmente assistita eterologa sono a carico del Servizio sanitario nazionale.

Le risorse.
Gli 800 milioni di euro stanziati dalla legge di stabilità vengono, quindi, allocati nei 3 livelli assistenziali, destinando:

– 600 milioni per l’assistenza distrettuale (così suddivisi: specialistica 380 milioni, protesi 153 milioni);

– 220 milioni di euro per la prevenzione sanitaria (vaccini);

– I 20 milioni di euro aggiuntivi derivano da un risparmio dovuto al trasferimento di prestazioni dall’assistenza ospedaliera ad altri ambiti assistenziali.

Per l’analisi dettaglita di tutte le novità vai agli allegati pubblicati di seguito.

18 marzo 2017
© Riproduzione riservata

Rsa. La retta di ricovero dei malati di Alzheimer la deve pagare il Ssn. Sentenza del Tribunale di Monza

Il caso e’ stato sollevato dai famigliari di una donna malata di Alzheimer che avevano ricevuto un decreto ingiuntivo, chiesto dalla Rsa, che li intimava di pagare 39.274,66 euro a saldo della retta di ricovero della madre. Ma per i giudici, le prestazioni erogate alla donna erano prevalentemente di carattere sanitario e, in quanto tali, a carico del Ssn. La sentenza

21 MAR – In base alla riforma sanitaria del 1978 “tutti i cittadini hanno diritto alla erogazione gratuita delle prestazioni di carattere sanitario” e “l’art. 30 della legge n. 730 del 1983 dispone poi che sono a carico del Fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali”. È sulla base di questo che i giudici del Tribunale di Monza hanno annullato un decreto ingiuntivo chiesto da una Rsa di Monza a saldo della retta di una anziana malata di Alzheimer e addirittura condannato la Rsa a restituire circa 2.500 euro di rette pagate più gli interessi legali.

Il caso era stato sollevato dai famigliari di una donna malata di Alzheimer che avevano ricevuto un decreto ingiuntivo, chiesto dalla Rsa di Monza, presso la quale la madre era ricoverata, con il quale si intimava di pagare 39.274,66 euro saldo della retta di ricovero, oltre interessi e spese.

Nella sentenza i giudici si sono rifatti all’indirizzo che la Cassazione ha assunto in passato e confermato nel 2016. Indirizzo che stabilisce che i costi delle attività assistenziali che siano strettamente connesse ad attività di rilievo sanitario devono essere a carico del Servizio Sanitario Regionale. In pratica chi viene ricoverato in RSA e, oltre alla permanenza assistita in struttura riceve anche cure mediche, non deve pagare nulla.

Per l’avvocato Giovanni Franchi di Parma uno degli elementi che rende ulteriormente importante questa sentenza è che è una delle prime pronunciata da giudici di merito senza bisogno di ricorso in Cassazione. Segno inequivocabile della certezza di questo importante indirizzo stabilito dalla norma imperativa ex art.1418 del Codice Civile e ribadito dalla Cassazione già nel 2012, con la sentenza 4558.

“Purtroppo – afferma l’avvocato in una nota – la maggioranza delle RSA continua a ignorare questo principio, impegnando il malato o i familiari al pagamento di una retta per le prestazioni assistenziali. I Comuni, cui queste strutture se pubbliche fanno capo, continuano quindi a rivalersi, spesso dopo il decesso del paziente, domandando in un’unica soluzione le rette, per ingenti somme di denaro. Da ricordare che sono, invece, i malati o i loro eredi che hanno pagato per loro, a poter chiedere la restituzione di quanto corrisposto. E la sentenza ottenuta a Monza lo conferma”.

21 marzo 2017
© Riproduzione riservata

Cittadinanzattiva-Tdm promuove gli ospedali oncologici.

di Barbara Gobbi

L’oncologia italiana è in buone condizioni: le strutture perlopiù garantiscono ai pazienti una presa in carico adeguata, che include l’attivazione di équipe personalizzate, il comfort degli spazi nei reparti di degenza e nei day hospital, una accurata personalizzazione del percorso di cura. A fare il punto su uno dei settori più sensibili del Ssn è il Monitoraggio civico realizzato da Cittadinanzattiva-Tdm con il contributo non condizionato di MSD Italia.

Non mancano le ombre, e non sono ombre da poco: liste d’attesa ancora non sempre rispettate – una struttura su quattro non garantisce l’accesso alle prestazioni diagnostiche entro le 72 ore -; assenza del case manager nella metà dei centri e mancanza di coordinamento dei Mmg alla dimissione del paziente. Ancora, come fa notare il coordinatore nazionale del Tdm/Cittadinanzattiva Tonino Aceti, «solo in una struttura su due si consegna al paziente il tesserino 048, quello che garantisce il riconoscimento dell’esenzione per patologia, già in fase di sospetto diagnostico. Una disuguaglianza inaccettabile. Questo diritto va reso esigibile per tutti e per questo chiediamo che quell’esenzione sia inserita nei nuovi Livelli essenziali di assistenza, in fase di revisione della Commissione nazionale Lea».

Il nodo farmaci innovativi è un’altra nota dolente: non ovunque i pazienti riescono ad accedere alle molecole d’avanguardia in tempi utili ad affrontare la malattia. Per questo, aggiunge Aceti, «ci aspettiamo che il fondo per i farmaci innovativi previsto dalla legge di Bilancio (500 milioni i farmaci oncologici innovativi, altri 500 mln gli innovativi tout court, ndr) sia usato per ridurre sia i tempi di accesso che la disomogeneità per i farmaci innovativi negli ospedali.

Aspetti organizzativi. Ogni giorno in Italia circa mille persone ricevono la diagnosi di tumore e si calcola che nel 2020 i malati di cancro saranno 4 milioni e mezzo. L’incidenza è più elevata al Nord che al Sud del Paese, ma i valori di sopravvivenza per alcuni tumori restano più elevati nelle aree settentrionali. Attualmente le reti oncologiche, intese come “il coordinamento di tutte le azioni che riguardano l’assistenza al malato oncologico, sia dentro che fuori dall’ospedale”, sono attive in Veneto, Piemonte, Lombardia, Toscana, Trentino ed Umbria; sono in fase di attivazione in Emilia Romagna, FVG, Lazio, Liguria, Alto Adige e Sicilia; mentre non sono state attivate nelle altre regioni.
Dalla nostra indagine, risulta che il 52% delle strutture monitorate appartiene ad una rete oncologica formale, ma in realtà si tratta per lo più di strutture che lavorano in rete garantendo i servizi necessari pur non essendoci un formale atto costitutivo.
Tutte sono dotate di un Day hospital oncologico, il servizio di radioterapia è attivo nel 55% delle strutture, il Pronto soccorso o DEA nell’81%, il Centro di terapia del dolore nell’89%, il servizio di psiconcologia nel 73%. Meno diffusi i servizi di riabilitazione oncologica (presente nel 43% delle strutture), e l’hospice (nel 44%).
Nel 98% dei casi ci si può rivolgere ad un CUP che nel 75% delle strutture garantisce la centralizzazione delle prenotazioni per l’intero iter diagnostico e terapeutico, e nell’85% garantisce un orario di apertura superiore alle 36 ore settimanali. La possibilità di prenotare online le prestazioni è invece garantita solo nel 28% delle strutture.
Sebbene circa il 70% delle strutture sia dotato di software gestionale per organizzare e gestire i percorsi di cura, tali sistemi non sono ancora del tutto soddisfacenti: ad esempio, non dialogano con i centri di screening e non permettono la verifica dell’efficacia dei PDTA; inoltre il fascicolo sanitario elettronico è utilizzato nella pratica quotidiana solo nel 55% delle strutture e solo nel 41% di esse è in condivisione con il Medico di famiglia.
In oltre il 90% delle strutture esiste un servizio di accoglienza per informare il cittadino sui servizi e prenotazioni e garantisce la presa in carico, prenotando anche i follow up successivi alle visite.
Percorso del cittadino nel servizio. Una struttura su quattro non garantisce entro le 72 ore l’accesso alle prestazioni diagnostiche ai pazienti con sospetta diagnosi di tumore; migliori i tempi d’accesso all’eventuale intervento chirurgico garantito quasi nove su dieci (87%) entro 60 giorni dal sospetto diagnostico; e nella stessa percentuale (89%) l’avvio del trattamento chemio o radio – terapeutico. Tuttavia solo il 71% delle strutture prevede monitoraggi delle liste d’attesa e l’invio dei dati alle regioni. Un buon segnale riguarda il 50% delle strutture che assegna il codice di esenzione 048 già dal sospetto diagnostico.
Il 95% dichiara di garantire il coinvolgimento degli specialisti nel percorso di diagnosi e cura ma, nell’elencare le figure del gruppo multidisciplinare, si scopre che alcune restano in molti casi fuori: è il caso dell’assistente sociale (assente in quattro equipe su cinque), del farmacista (assente nel 69%), del terapista del dolore o palliativista (assente nella metà dei casi), dello psicologo (assente in un caso su tre) e dell’infermiere (assente in un caso su quattro). E, addirittura, solo il 20% delle strutture coinvolge nel gruppo il medico di medicina generale. Il case manager, ossia una sorta di tutor per il paziente, è presente in una su due.
Nel 42% delle strutture occorrono in media max 15 giorni per l’inserimento di nuovi farmaci nel prontuario terapeutico ospedaliero. Non sono da trascurare i dati che riguardano le strutture che impiegano dai 3 ai 4 mesi (7%) e dai 4 ai 6 mesi (9%) per inserire farmaci salvavita. Inoltre, solamente il 52% prevede procedure per il sostegno dei costi dei farmaci non passati dal SSN.
Altra area migliorabile è quella relativa alla gestione delle scorte e giacenze dei farmaci antineoplastici che prevede solo nel 51% delle strutture un software capace di mettere in rete con le altre strutture queste informazioni.
Per quanto riguarda le sperimentazioni cliniche, sebbene l’81% delle strutture effettui ricerca al proprio interno, solo il 53% fa parte di un network nel quale si condividono le informazioni sulle sperimentazioni in atto, solo nel 35% è prevista una procedura per l’invio del paziente verso strutture che hanno attive sperimentazioni e solo nel 30% le informazioni sulle sperimentazioni sono pubblicate sui siti web.
Ottimi i risultati sulla personalizzazione delle cure, assicurata dal 97% delle strutture, e sull’attenzione al dolore, garantita nel 94%.

Orientamento al cittadino e umanizzazione. Quasi la totalità delle strutture dedica un referente dell’equipe alla comunicazione della diagnosi di tumore, che avviene attraverso colloqui diretti e personali con il paziente. Il 95% offre supporto psicologico gratuito per i pazienti che lo richiedono e addirittura il 77% lo fornisce in maniera strutturata e continuativa. Permangono diverse aree critiche. Ad oggi ancora il 66% delle strutture non offre servizi di foresteria per i familiari dei pazienti ricoverati. Inoltre il trasporto dal domicilio alla struttura e viceversa, per chemio e radioterapia, è garantito solo nel 60% e gli organismi per il disbrigo di pratiche amministrative è garantito solo nel 23%. Nell’ambito della non discriminazione culturale, etnica e religiosa solo il 48% delle strutture offre un servizio di mediazione culturale, il 53% un servizio di interpretariato e solo il 19% offre moduli di consenso informato multilingue. Altro dato negativo è quello che riguarda l’assenza di un prontuario dietetico che rispetti i credo religiosi, presente solo nel 55% delle strutture.
Dal punto di vista del comfort, i reparti di degenza oncologica presentano per il 77% stanze con non più di due posti letto, servizi igienici all’interno delle stanze (92%) e nel 54% impianti di climatizzazione regolabili dai degenti. Solo il 33% mette a disposizione la rete Wi Fi. Sono stati inoltre monitorati i salottini riservati ai pazienti ricoverati per incontrare, fuori dal reparto, i parenti e gli amici. Tali locali sono risultati per lo più confortevoli, prevedendo un numero di posti a sedere congruo (per l’87% delle strutture), impianti di aria condizionata (79%), presenza di televisione (nel 74%), distributori di bevande (nel 64%), biblioteca (nel 54%). La colazione viene servito nel 92% dei reparti dopo le 7:00, il pranzo nel 95% dopo mezzogiorno, la cena dopo le 19:00 nel 62%. Il 90% offre la scelta ai pazienti, che non hanno diete restrittive, fra due o più menù.
Nei Day Hospital, troviamo nel 90% dei casi la TV, nel 47% librerie e impianti di filodiffusione, nel 21% poltrone con cuffie MP3. Il 79% offre bevanda e spuntino a metà mattina.
Per quanto riguarda i parcheggi il 92% delle strutture ne possiede uno riservato ai pazienti e visitatori. L’81% ha dei posti gratuiti mentre il 47% ha parcheggi a pagamento. Tuttavia permangono ancora oggi ambienti in cui sono presenti barriere architettoniche, ad esempio solamente il 90% delle strutture è totalmente accessibile nel Day Hospital.
Partecipazione e trasparenza. L’area presenta zone d’ombra. Il 61% delle strutture effettua costantemente indagini sulla soddisfazione degli utenti, solo il 65% realizza audit annuali di valutazione della qualità e delle performance e, tra gli indicatori ai fini della valutazione di performance, solamente il 71% prevede il monitoraggio dei tempi d’attesa e l’invio dei dati alle regioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

Bimbo rovinato dal falso medico. Paghera’ anche l’Usl. Tribunale del malato parte civile

Bimbo rovinato dal falso medico. Pagherà anche l’Usl. Tribunale del malato parte civile

Rigettata la domanda dell’azienda sanitaria che dovrà rispondere in solido in caso di condanna del falso ginecologo

DOLO. Qualora il falso ginecologo Andrea Stampini (nella foto in basso) – in realtà diplomato geometra – venga condannato dal tribunale di Venezia, anche l’ex Usl 13 di Mirano (oggi confluita nell’azienda sanitaria Serenissima) dovrà rispondere in solido – assieme all’imputato – al risarcimento dei danni alla famiglia del bimbo di Camponogara (difesa dagli avvocati Giorgio Bortolotto e Silvia Sorrentino) rimasto menomato durante il parto avvenuto il 26 dicembre 2014 con la supervisione di Stampini, ed a “Cittadinanzattiva – Tribunale del Malato”, che si è costituita parte civile con l’avvocato Tiziana Ceschin.

Ieri il giudice monocratico Enrico Ciampaglia ha rigettato la richiesta presentata nella scorsa udienza dall’avvocato dell’azienda sanitaria, Giuseppe Sarti, che aveva chiesto di estromettere l’Usl chiamata in causa in qualità di responsabile civile. Secondo il legale, infatti, anche l’azienda sanitaria è stata danneggiata dal falso ginecologo che non era dipendente dell’allora Usl di Dolo-Mirano, ma lavorava in convenzione dopo essere stato reclutato da una ditta che fornisce personale sanitario per i turni a chiamata. Proprio per questo l’Usl ha già denunciato Stampini per truffa aggravata ed esercizio abusivo della professione. Il difensore dell’azienda sanitaria, presentando le eccezioni, ha sostenuto anche il fatto che il contratto di lavoro tra l’Usl e Stampini, in virtù della mancata laurea, non era valido. E proprio per questo, l’azienda sanitaria non deve risarcire nulla.

Altra eccezione sollevata dall’avvocato Sarti sulla formulazione del capo di imputazione. Ma il pubblico ministero si è battuto per evidenziare che il falso specialista deve rispondere di lesioni gravissime per negligenza ed esercizio abusivo della professione.

Il giudice Ciampaglia non ha accolto le eccezioni: l’attuale azienda sanitaria Serenissima, dunque, se Stampini dovesse essere condannato, risponderà in solido dei danni.

Il processo al finto medico che ha operato per 40 anni nella sanità pubblica anche come primario entrerà nel vivo il 5 maggio: ieri il giudice ha ammesso di sentire, in qualità di testimoni, la mamma del bambino rimasto menomato per le conseguenze del parto naturale voluto a tutti i costi da Stampini e gli agenti di polizia giudiziaria che seguirono le indagini. I danni patiti dalla famiglia del piccolo verranno quantificati in sede di perizia medico-legale e verranno richiesti alla conclusione del procedimento.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Legato al letto, muore: in due vanno a processo

Legato al letto, muore: in due vanno a processo

PONTE DI BRENTA. Il medico non aveva prescritto l’uso del cosiddetto “mezzo di contenzione”. Eppure un’infermiera Maria Rosaria Pedone 27enne di Trinitapoli (in Puglia) e un’operatrice sanitaria Annamaria Dalla Riva, 52 di Ponte San Nicolò, avevano deciso di legare al letto il paziente della casa di riposo Breda in via Ippodromo 2 a Ponte di Brenta gestita dall’Istituto Configliachi, assumendosi una responsabilità che non competeva loro.

E, per di più, omettendo di controllare la condizione dell’ospite nel corso della notte e il corretto posizionamento di quello strumento contenitivo. Così nel disinteresse totale si è consumata la tragedia: Graziano Zilio, ex infermiere 61enne di Dolo, aveva tentato inutilmente di liberarsi.

Anzi, stringendo involontariamente sempre più intorno a se stesso quella cintura fissata con bende al letto, è morto soffocato contro tra la spondina per un’insufficienza cardio-respiratoria acuta provocata da quella posizione. Era il 12 febbraio 2014.

Ora le due donne sono finite a processo davanti al giudice di Padova Nicoletta De Nardus che, ieri, ha ammesso come parte civile il tribunale per i Diritti del malato rappresentato dall’avvocato Tiziana Ceschin di Venezia, mentre si erano già costituiti parte civile i figli della vittima, difesi dall’avvocato Giorgio Bortolotto, e la vedova, tutelata dall’avvocato Silvia Sorrentino.

I familiari hanno citato pure come responsabile civile l’Istituto Configliachi (difeso dall’avvocato Michele Godina). Maria Rosaria Pedone (difesa dall’avvocato Fabio Pinelli) e Annamaria Dalla Riva (difesa dagli avvocati Lorenzo Locatelli e Elisa Polato) sono accusate di cooperazione in omicidio colposo in quanto avevano legato al letto il 61enne in assenza di una prescrizione medica e delle condizioni eccezionali e di urgenza che giustificano il ricorso alle cinghie contenitive durante il riposo notturno.

Il paziente era stato dimesso tre giorni prima, il 7 febbraio, dal reparto di Psichiatria dell’ospedale di Dolo con la certificazione di un “parziale ma soddisfacente miglioramento del quadro di ingresso con tranquillizzazione del paziente e sostanziale docilità e facile gestibilità comportamentale”.

Forse quella notte Graziano Zilio, ricoverato in una stanza singola, aveva manifestato qualche forma di irrequietezza ma il medico di turno non era mai stato informato. E, secondo la procura che ha chiesto il rinvio a giudizio, le due dipendenti avevano fatto tutto in piena autonomia tralasciando qualsiasi controllo nei confronti dell’ospite che avrebbe dovuto essere monitorato.

Tanto che il pm Roberto D’Angelo, titolare dell’inchiesta, ha contestato la mancata sorveglianza e la mancata assistenza indispensabili per interrompere «lo stato di prostrazione fisica e psichica del paziente». Pm che la mattina del ritrovamento, avvenuto intorno

alle 5.30, era andato a fare un sopralluogo nella casa di riposo: il decesso sarebbe avvenuto tra le 2.30 e le 4.30.

Un decesso che non ha mai convinto i familiari che hanno presentato la denuncia destinata a innescare l’inchiesta. Il processo entrerà nel vivo il 21 settembre.